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Perché dirsi liberali.
Dovrei forse partire paradossalmente da una domanda, e cioè: perché dirsi socialisti? O, meglio, perché non dirsi liberali? Forse che si creda ancora ad un orizzonte socialista? Forse che si neghi tuttora la proprietà privata? O forse che non si voglia prendere atto delle possibilità offerte da un sistema liberale? Non mi sembra che sia oggi spendibile un'alternativa a quest'ultimo sistema, eppure qualcuno ancora vagheggia la bontà di una società fondata su logiche di protezione e sulla limitazione, in ultima analisi, delle libertà personali. Io credo invece che una società basata sul libero mercato sia in grado di produrre benessere diffuso e soprattutto di correggere da sé le proprie distorsioni. Certo, a patto che ci sia un effettivo contrasto alle posizioni dominanti. Voglio dire che a mio giudizio non è possibile per un liberale sentirsi rappresentato da quella che oggi si propone come forza, appunto, liberale; fondamento del liberalismo è ad esempio la libera concorrenza, negata da un personaggio come l'imprenditore/Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi; egli vuole sostituire alla dittatura del pubblico (effettivamente patita dal sistema italiano) la dittatura del privato, ove per privato si intende un privato, sempre lo stesso. O ancora io non credo che sia un principio liberale la compressione dei salari; continuare a indicare il costo del lavoro come il motivo della pochezza del sistema economico italiano è fuorviante, specie pensando che una discreta parte dei cittadini italiani è già virtualmente esclusa dalla possibilità di accedere al mercato, perlomeno al di fuori della pura sopravvivenza (non è però questo un mercato che produce benessere). Proprio credendo nel liberalismo mi interrogo anch'io su alcune caratteristiche dell'economia italiana, come la grande differenza rispetto ai salari di paesi europei dotati senza dubbio di economie più forti ma in cui i prezzi non sono sensibilmente più alti rispetto all'Italia. Mi chiedo insomma se non ci sia un difetto di coraggio nell'imprenditoria italiana, spesso tesa a cercare una propria nicchia, forte magari di appoggi politici, piuttosto che a porsi coraggiosamente sul mercato. Si ricercano profitti sempre più elevati e soprattutto immediati, invece di investire sul proprio e sull'altrui lavoro, convinti fino in fondo delle opportunità offerte dal mercato (ma tutti questi pseudo liberali hanno mai sentito parlare di Einaudi?). A che ci servono lavoratori spremuti e ricattati? A che ci serve una classe operaia alla nostra mercé, rassegnata e probabilmente poco competitiva? Tornando ai toni dell'inizio, forse che si pensi davvero di poter competere con la Turchia o con Paesi in cui il costo del lavoro è tristemente di pochi centesimi di euro? E per vendere a chi le merci così (immoralmente?) prodotte? Solo che queste domande le rivolgo, stavolta, a chi si dice liberale...
V.P.