incoherence

peter hammill, 2004


Una vicenda artistica anomala quella di Peter Hammill. Da leader di uno dei gruppi più famosi dei primi 70, quei Van Der Graaf Generator che furono anche primi in classifica in Italia (con l'album "Pawn hearts"), ad una carriera solista trentennale contrassegnata da una assoluta coerenza artistica e scarso successo commerciale.
La sua musica in perenne equilibrio tra armonie e dissonanze, non ha mai trovato (se non nel caso dei primi Van Der Graaf ) nugoli di appassionati.
Lontana anni luce dallo zenzero brilluccicante del rock mainstream la musica di Hammill richiede qualcosa di più di un ascolto distratto per essere apprezzata.
Direi quasi che è necessario essere in sintonia con l'intero mondo poetico ed umano di Peter, condividerne i punti di vista esistenziali.
In questo senso poco sono serviti i ripetuti apprezzamenti dell'amico Peter Gabriel, di David Bowie ed altri più o meno famosi.
Ma se proprio vogliamo trovargli un'etichetta,la più azzeccata è quella data dalla critica britannica ai Van Der Graaf: rock esistenziale!
Ed era sicuramente un rock esistenziale il loro, non solo nei contenuti musicali (la voce di Hammill, ora dolcissima, poi tesa pronta all'urlo,
le atmosfere cosmiche dell'organo di Banton e le improvvisazioni jazzistiche del sax di David Jackson), ma soprattutto nelle liriche di Hammill, visionarie, poetiche, indagatrici delle contraddizioni dell'animo umano e dei paradossi dell'esistenza.
Insomma, se siete dei fan di Nick Cave, se ascoltate ancora Roy Harper, 
se amate Nick Drake, allora Peter Hammill potrebbe piacervi molto.
"Incoherence" appena uscito è il suo 31esimo (!!) album solista. Come ormai abitudine anche questo autoprodotto, "autosuonato" quasi interamente dal nostro (chitarre e tastiere) e cantato (voce e cori) in perfetta solitudine salvo l'occasionale apporto dei sax e fiati di Jackson e del violino di Stuart Gordon.
Incoherence è di fatto un concept album, cioè un solo brano di 42 minuti diviso in 11 parti differenti ma legate dallo stesso filo conduttore.
Spiega l'artista nelle note di copertina: "questo lavoro contiene elementi di incoerenza interna, sia nella musica che nelle parole... quello che si vuole dimostrare col metodo del paradosso è in sostanza l'impossibilità del linguaggio."
Vi posso anticipare che il disco è bello, forse uno dei migliori dell'ultima produzione hammilliana, tuttavia non mi sento di consigliarlo a chi non conosce ancora questa musica; potrebbe risultarvi ostico e molto pesante (beh, in effetti lo è).
Mi permetto però di darvi dei suggerimenti nel caso vorreste approfondire la conoscenza di Peter Hammill, lo ripeto, una delle più belle voci del rock inglese di tutti i tempi.
Buon ascolto...

Gli album che mi sento di consigliarvi sono:


"The silent corner the empty stage" (1974) - lirico, progressivo, un po' datato ma bellissimo

 

"A black box" (1980) ed "Enter k" (1982) - l'Hammill classico

"And close as this" (1986) - 8 canzoni per voce e piano

"Roarig forties" - tra gli ultimi il migliore album

 

massimo festini