Federico Mataloni. L'IMPERO COLPISCE ANCORA.
"...negli   Stati Uniti abbiamo un unico partito politico, il Partito della Proprietà   Privata, con due ali destre, quella Repubblicana e quella Democratica"   (Gore Vidal)

"…noi non potevamo abbandonarle a loro stesse, poiché non erano in grado di darsi un governo autonomo, e ben presto sarebbero finite nell'anarchia. Non ci restava altro da fare se non occuparle e istruire i filippini, sollevarli dalla loro condizione, civilizzarli, cristianizzarli e, con l'aiuto di Dio, fare del nostro meglio per aiutarli…"

Queste cristiane parole non escono dal discorso del riconfermato presidente all'indomani di una prossima guerra preventiva contro lo stato canaglia filippino, ma vengono pronunciate più di un secolo prima.
Così infatti si esprimeva William McKinley, presidente nel 1898, al termine della guerra Ispano-Americana, che portò all'annessione di Filippine, Puerto Rico e Cuba. 
La dottrina del "Destino Manifesto", devoluzione imperialista della "dottrina Monroe" (L'America agli Americani), poneva il monopolio del colonialismo in mano agli Stati Uniti facendo appello a una non precisata vocazione a dominare il continente.
In realtà, con le Filippine, si poneva il primo tassello fuori dai confini continentali, e si dava innesto allo scontro per il controllo del Pacifico, risolto con la strage di Pearl Harbour, in cui F.D. Roosevelt raccoglieva due calcolati successi: l'alibi per l'ingresso in guerra e, mandando tutti in guerra o a lavorare, la soluzione definitiva alla Grande Depressione degli anni '30 (meno ruggenti dei precedenti).

Questo rimando storico solo per evidenziare che lo spirito imperialista non è espressione prerogativa della politica estera di George W, ma risale agli albori della nazione americana, insito nel suo stesso DNA, come lo spirito di sopraffazione, che si esprime nell'oppressione di chiunque si sovrapponga al proprio fine. Come giustamente afferma Charlton Heston in Bowling a Coloumbine: "la nostra storia ha le mani insanguinate", e su quel sangue ha posto le fondamenta.
È la storia di una nazione con soli due secoli di vita che si è ritrovata a dominare il mondo, vivendo in un medioevo culturale e civile tale da farle utilizzare ogni mezzo per la conquista del potere geo-economico-politico, appoggiando dittatori, macchiandosi di numerosi genocidi, investendo nella criminalità organizzata e nel commercio di armi di distruzione di massa e droga, utilizzando la pena di morte e fomentando odio xenofobo, subordinando tutti i valori al mero profitto, compresa la salvaguardia del futuro dell'umanità. Lo stesso accadeva in Europa a cavallo tra '400 e '500, quando Machiavelli esaltava il cinismo e l'impudenza dello spietato Cesare Borgia, come esempio di signore rinascimentale. Ma l'Europa è passata attraverso il secolo dei lumi e della ragione, mentre l'America accoglieva suo malgrado sanguinari conquistadores, bigotti padri pellegrini, delinquenti di ogni sorta che fuggivano dalla giustizia dei propri paesi per rifarsi un'esistenza lungo la frontiera.

Anche lo Stato di Sicurezza Nazionale non è un'invenzione della famiglia Bush. Semplicemente padre e figlio hanno dovuto adeguarsi ai cambiamenti della storia e, dopo la caduta del pericolo rosso, hanno canalizzato l'ancestrale paura del proprio popolo verso il diverso, nei confronti della civiltà islamica. Durante gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, Truman capì che al termine del conflitto si sarebbe trovato in compagnia dei Comunisti a spartirsi il mondo. Occorreva mostrare i muscoli e spaventare il prossimo avversario. Sganciò quindi due bombe atomiche su un Giappone ormai alla resa, per colpire indirettamente l'orgoglio sovietico. Più tardi definì i confini del mondo americanizzato tracciando il corridoio di Danzica, muro virtuale tra le due civiltà. Il dopoguerra si è poi dilatato, cristallizzandosi nell'immobilismo della Guerra Fredda, e ha concesso all'America di colonizzare militarmente ma soprattutto televisivamente le ceneri della vecchia Europa, ritornando spavalda in quell'utero che aveva reciso con la guerra d'Indipendenza.

Oggi, all'indomani dell'election day, possiamo ribadire che la paura ha prevalso sul buon senso. La campagna di terrore che da anni (sicuramente prima dell'11 settembre) i media americani seminano sul territorio ha dato i suoi frutti. Soprattutto tra le classi medio-basse e rurali del Mid-West dove i Repubblicani hanno lo zoccolo duro, e meno nel New England e tra gli Harvardiani tanto avversi al clan texano, che notoriamente simpatizzano per l'Asinello. E attenzione… a tre giorni dal voto è addirittura riapparso il fantasma di Osama! Il leader di Al Qaeda ha scosso tutti, tranne i miopi commentatori televisivi europei che hanno negato il suo "peso elettorale".
Alcuni politici (soprattutto tra le fila della sinistra) si aspettavano la clamorosa cattura del pericolo pubblico numero uno come mossa strategica dei Repubblicani… Ma, se fosse stato catturato, sarebbe venuto a mancare l’obiettivo primario, il motivo dei finanziamenti all’industria bellica, finanziatrice, a sua volta, della campagna elettorale e dei club neo-cons che tanto hanno aiutato George W. nella sua investitura.
Invece Osama deve essere tenuto in vita, deve apparire e poi nuovamente scomparire dentro le grotte afghane, giusto per far ricordare che il pericolo è sempre dietro l’angolo e il popolo deve essere sempre pronto ad imbracciare il Winchester tenuto appeso sopra il caminetto. Perché la dottrina della Guerra Preventiva (tutt'altro che fredda) è appena cominciata.
Smentendo tutti i pronostici, speranze, exit pool europei, il popolo americano ha riaffermato il proprio diritto di difendersi dal male, governando il mondo. Lo stesso Kerry, durante la campagna elettorale, ha parlato di parlamento mondiale, riferendosi al Congresso USA.
L'impero si è così consolidato grazie ad un voto quasi plebiscitario. Se nel 2000 il voto popolare era andato ad Al Gore e Bush aveva "rubato" le elezioni grazie all’appoggio del fratello governatore della Florida e del Senato Repubblicano, oggi non ci sono più alibi. Bush ha carta bianca e la farà valere senza scrupoli: attendiamoci quindi altri 4 anni di esportazioni di democrazia (compresi tagli allo stato sociale), caccia a stati canaglia e tagli alle tasse per le classi più agiate.

E non veniteci a dire che siamo anti-americani. Semplicemente non accettiamo il motto manicheo "o con noi, o contro di noi". Abbiamo altri valori e la frontiera che amiamo non è quella di Custer e Lee, quella di Truman e Nixon, quella di McCarthy e Dulles, quella di Reagan e Bush, quella di Cheney e Wayne; ma quella di Lincoln, Frost, Whitman, Poe, Kerouac, Steinbeck, Salinger, Kennedy, Chaplin, Allen… tutti americani sì, ma contrariamente a quanto si era illuso Michael Moore, in netta minoranza!

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