THE FINAL COUNTDOWN
Sono in un locale, c'è
gente, fumo, una band. Esco.
Mi trovo a camminare, è
notte, nessuno intorno, comincio a correre, corro, corro più che
posso, corro e penso: "come cazzo è che sto correndo così
tanto?". Le mie gambe vanno da sole. Non ho più fiato. Il cuore
lo sentivo battere prima, adesso l'apnea del mio respiro sovrasta tutti
i rumori. La corsa ora è il mio scopo. Vivo per correre. Ho trovato
la mia condizione. Correre così per sempre nella città notturna,
rischiarata dagli allarmi dei palazzi comunali e dalle luci dei camion
della nettezza urbana, dal riverbero delle pozzanghere. Quanto potrò
durare? Quando le mie membra si sfalderanno per la stanchezza, non avrò
nemmeno lo sprone di un obiettivo, una meta da raggiungere, dal momento
che corro senza motivo, senza un perché e senza andare da nessuna
parte. Va beh, mi fermo.
Mi aggiusto i capelli e spiegazzo
il vestito da dama dell'ottocento che ho indossato stasera. Una stecca
di balena del busto mi ha infilzato il torace che comincia a sanguinare.
Delicatamente lo sfilo dalla mia carne e lo lancio in aria sperando possa
un giorno evolversi in astronave. Che possa tramutarsi nel simbolo dell'impegno
dell'uomo, dell'intelligenza volta a scoprire i misteri dell'universo.
O almeno che possa da costola di busto di taftaf generare uno smoking.
Odo un suono. Una musica
ipnotica si impossessa dell'aria, sto per avere un incontro che mi cambierà
la vita. Questo è ciò che dice il mio sensore di bioritmo
portatile. Incontro un cane. Anzi due. Poi c'è un gruppo di amici
all'uscita di una tratto-eno-gastro-birra-panetteria. Poi ci sono un po'
di auto che sfrecciano sulla circonvallazione. Poi ci sono io che aspetto
la sostitutiva. Poi arriva la sostitutiva. Adesso mi incazzo.
Vado a casa e mi sfilo le
calze che autoreggono le mie cosce. Suonano alla porta. È la mia
vicina che assolutamente mi vuole far partecipe di un fatto incredibile
e inaudito che le è capitato ieri sera. Tre sconosciuti hanno bussato
alla sua porta. Salvo per i tacchi a spillo e i collari di piume di struzzo
attorno al collo, sembravano tipi a posto. Così hanno fatto amicizia
e adesso vivevano lì da lei. Inoltre mi chiedeva se per favore non
è che per caso avessi un barattolo di miele anche aperto, perché
sai a quest'ora non è facile trovarlo. No, la mia dispensa è
vuota, non ho il miele. Quando vado a fare la spesa riempio il carrello
di ogni bene e poi lo abbandono vicino al bancone degli integratori.
Sembra convinta della mia
spiegazione, così mi dà la buonanotte e toglie il disturbo.
Cazzo! Son due sere di fila
che mi faccio la maschera e vado a letto. Adesso basta.
(to be continued)