Preambolo
in candido cartone
Il bambino spia il quadro appeso nella sua stanza, come fosse una finestra aperta su un panorama di cioccolata bianca su cui slittano dei fanciulli. Davanti ad Andrea, il paesaggio si staglia in tutta la sua sottesa meraviglia, ricoperto da una misteriosa coltre bianca. Il fanciullo scruta quel candido manto carico di desideri. Andrea osserva estasiato quello strato niveo da cui emerge una bimba che mormora: <Vieni con noi su questo piumino! Ci potrai dormire e correre inseguendo sogni!> Un altro compagno di gioco si scrolla di dosso un po’ di candore e gli sussurra: <È un tappeto di ovatta in cui lanciarsi…> Un ragazzino gli bisbiglia: <No, è un mare di schiuma dove tuffarsi e immergersi per inseguire galeoni affondati!>. Andrea divora con gli occhi quel drappo latteo, come fosse zucchero al velo… o panna montata… o zucchero filato. Forse, quel velo immacolato è stato filato in cielo da un essere soprannaturale, da Gesù Bambino, o da Babbo Natale, con ricami lanciati verso terra. Il nostro giovanissimo protagonista prova ad immaginare Gesù che ruba fili di manna dal paradiso e che li butta furtivo dalla bocca del cielo sul ventre della terra, o Babbo Natale che si taglia la barba, per tessere minuscoli fronzoli che getta sul mondo. Eppure, quella che sembra neve è solo un panno artificiale, che nella realtà non esiste, perché è soltanto una goccia di panna che la fantasia del fanciullo ha montato a dismisura.
Nella
realtà, oltre la sua camera, gli unici colori che guidano la strada non sono
quelli dell’albero di Natale, ma del semaforo. Quando il piccolo Andrea apre
gli occhi, sbircia fuori dalla finestra e vede solo una città ammantata dal
grigiore di catrame, cemento, smog: il respiro del traffico di automatismi, di
autocontrolli, di automobili. Il fanciullo fissa un autista che abbassa il
finestrino per urlare ad un altro: <Cosa ti è saltato in mente di spegnere
il motore? Così, quando il semaforo è verde, rallenti la partenza della
colonna!> Il bimbo osserva un altro automobilista che si affaccia per gettare
un mozzicone di sigaretta, che aggiunge una nuvola di grigio a quella che sbuffa
dai tubi di scappamento e delle ciminiere. Tuttavia, il nostro piccolo eroe non
si lascia sopraffare da quel soffocante grigio e apre delle finestre che
ampliano, depurano, illuminano la città. Il bimbo scuote, strappa il lenzuolo
che ricopre il panorama dell’immaginazione e scopre incanti: dietro il
paesaggio che tiene appeso con un chiodo su un muro della sua stanza, si cela la
meraviglia della ripetizione di un evento passato. <Andrea! Esci da lì che
ti aspettiamo tutti!> Il bambino sente qualcuno che lo chiama, ma fa finta di
non udire, preferisce restare chiuso ancora un poco nel suo mondo. Ogni giorno,
il fanciullo apre una finestra e vede esseri che ora non esistono più: rimira
una bianca distesa che scorre come un fiume, che ondeggia come un mare belante,
corre in greggi da cui emergono dei pastori. Da un’imposta ampia quanto la
punta di un dito, Andrea ammira dei re vestiti con strascichi di seta candida
montati su cammelli, mira una grotta in cui splendono i raggi di una stella. Il
fanciullo contempla le figure che ha scoperto dietro le finestrelle del
calendario dell’Avvento. Sta per cercare di vedere cosa si celi dietro
l’ultima, che ancora resta chiusa dietro le imposte di un cartone, un pezzo di
carta animato dalle fantasie, quando i suoi sogni sono interrotti dalla mamma
che lo chiama: <Andrea, presto, ti aspettiamo per la cena! Almeno per la
vigilia di Natale cerca di essere puntuale!>.
La
mamma serve gli antipasti. La tavola è imbandita sontuosamente, per rispettare
la solennità di un 24 dicembre reso importante dalla presenza di un bimbo. Il
bambino afferra delle nuvole cinesi e le sgranocchia dicendo: <Ecco, queste
sono le nuvole che ricoprivano il mio calendario dell’Avvento!> Zia Mafalda
cerca di obiettare: <Ma queste sono nuvole cinesi… e non mi pare che in
Oriente si festeggi il Natale!> Il nonno la corregge: <Eppure i re Magi
provenivano proprio dal Levante!> Il bimbo spiega: <Queste sono le nuvole
che l’imperatore della Cina ci ha inviato con una carrozza trainata dal panda
che vive ai bordi del mio letto!> Il papà lo richiama: <Non parlare con
la bocca piena!> Tutti mangiano, spiluccando involtini primavera, spaghetti
di soia, ravioli di gamberi… Tutti tranne zia Mafalda. <Allora? Perché non
mangi?> le domanda il nonno, che la zia non ha mai potuto soffrire. Mafalda
risponde: <Veramente, io a Natale ero abituata a mangiare piatti classici
della tradizione italiana!> La mamma la consola: <Aspetta, abbi pazienza!
L’antipasto è cinese, in onore dei viaggi che ha fatto il nonno… ma il
resto appartiene alla più tradizionale cucina del Bel Paese.> Il bimbo tira
il vecchio per una manica: <Dai, nonno racconta di una delle ambasciate che
ti affidò l’imperatore della Cina!> Zia Mafalda sta per guastare la festa
dicendo: <Ma in Cina c’è una repubblica da decenni, anzi da almeno…>
La mamma zittisce la zia con un calcio sotto il tavolo dicendo: <Il nonno è
molto vecchio! Lascia che continui questi racconti che piacciono tanto al nostro
bimbo!>.
L’anziano
ingurgita un pezzo di anitra in agrodolce e racconta: <I calendari
dell’Avvento si ricoprono di bianco quando un signore, dai capelli bianchi, più
vecchio del mondo, scuote il capo: quando disapprova l’azione di un uomo
scrolla la testa e la sua forfora cade allora sulla terra. Un giorno di tanti
inverni fa, quando ero giovane, l’imperatore della Cina mi incaricò di
recarmi in ambasciata presso questo vecchissimo signore, per chiedergli di
cospargere di candore la splendida reggia imperiale di Kambalù. Tuttavia, il
bianco vegliardo, quando lo raggiunsi, non solo non mi disapprovò, ma mi regalò
una ciocca dei suoi capelli e mi disse: “Caro Marco, con questi bianchi
filamenti potrai, una volta rientrato in patria, nutrire i tuoi
concittadini…” Io, che non avevo capito di aver ricevuto in dono gli
spaghetti, offrii un pane al signore dai lunghi capelli nivei. Costui lo assaggiò
e scosse il capo dicendo: “Manca lo zucchero!” Il bianco signore mi restituì
quel pane ricoperto da zucchero al velo e io lo riportai con me in Italia… non
capendo che si trattava di Pandoro.>.
Il nonno inghiotte un altro involtino primavera e narra: <Per l’imperatore della Cina compii ancora parecchi viaggi raccontandogli delle terre che si trovavano all’interno del suo immenso impero. Un giorno gli chiesi di lasciarmi tornare in patria. Lui mi offrì tesori inestimabili, che difficilmente avrei potuto trasportare: scelsi di portare con me unicamente il segreto degli spaghetti e del Pandoro.> Il vecchio Marco sorseggia della birra cinese e continua: <Viaggiai attraverso mare e monti attraversando tutto l’Oriente. Una volta giunto nelle acque dell’Impero di Costantinopoli rischiai un naufragio. Mi salvò un vecchio vescovo cui, per ringraziarlo, regalai un Pandoro: si trattava di San Nicola, il padre di Santa Klaus, il nonno di Babbo Natale. Nicola morì, ora è sepolto a Bari, ma cedette in eredità il Pandoro al figlio che lo regalò al nipote…>.
Zia
Mafalda proprio non riesce più a trattenersi e si rivolge a nonno Marco:
<Non ti sembra di avere esagerato con le tue frottole?> Il vecchio non si
arrabbia, perché sa che la zia in fondo gli vuole bene e le dà ascolto: <Sì,
hai ragione, io non rispetto la verità, anche se non pretendo di essere
credibile. Nelle mie frottole faccio girare come trottole frattaglie di miti,
leggende, storie reali, invenzioni… Sì, è vero, io racconto frottole… che
s’infrattano nei bagliori rifratti dal sole della ragione… o nei barlumi
rifratti della luna dei sogni… o in frotte di fuochi fatui…>.
Andrea si tuffa tra lenzuola candide come la neve. L’indomani avrebbe finalmente schiuso l’ultimo mistero del calendario: chiude gli occhi cercando d’immaginare cosa avrebbe visto. Nella notte di Natale, il bimbo attende con impazienza che le stelle si estinguano risucchiate dall’aurora. Vorrebbe già alzarsi a scartare i doni, ma teme il buio. Cerca allora di dormire, ma sente degli strani rumori che provengono dal salotto, proprio dove sono custoditi l’albero, il presepe e i regali. Che stia arrivando Gesù Bambino? Il fanciullo sarebbe proprio curioso di vederlo, ma si trattiene, perché ritiene che sia poco educato disturbarlo mentre lavora. In realtà, quello è solo un pretesto per mascherare il suo timore dell’oscurità. Chiede a Morfeo di venirlo a prendere, per portarlo nella terra dei sogni a slittare con i personaggi che ha visto affacciarsi dalle finestre del suo calendario dell’Avvento. Tuttavia, gli scricchiolii dal salotto continuano a disturbarlo. Ha paura del buio, ma è attirato dal mistero celato dalla notte. Alla fine decide di alzarsi per capire cosa stia succedendo. Impugna uno scudo di legno e una lancia di plastica e si avvia, lento, cauto, titubante, a svelare l’arcano.
Mentre
compie la sua manovra di avvicinamento, con la stessa solennità con cui muove
il suo esercito di soldatini, intravede un vecchio, proprio sotto l’albero
iridescente, un uomo dalla barba bianca che sgranocchia qualcosa. Che sia Babbo
Natale? Il bimbo accende la luce e scopre il vecchio con le mani in un
sacchetto: <Ti ho beccato! Adesso sveglio mamma e papà e dico loro che ci
hai mangiato il torrone!> Il nonno cerca di corromperlo: <Ti prego non
denunciarmi! Se starai zitto ti lascerò aprire il mio regalo! Eccolo, sta
proprio davanti al presepe.> Il bambino vede un sacco di iuta. Che Babbo
Natale abbia dimenticato il suo sacco? Il fanciullo ride, dal momento che pensa
ad uno scherzo del nonno, il quale da settimane gli prometteva sorridendo
beffardo: <Ti regalerò un sacco di carbone!> Il fanciullo apre il rozzo
involucro, sogghignando per l’umorismo del nonno, aspettandosi l’agognato
regalo, ma rinviene dei sassi neri che gli sporcano le mani: ha capito che non
si sta scherzando, non si sta giocando e non ride più, perché si tratta
veramente di carbone!
Il
fanciullo è arrabbiato con il nonno: <Mi hai fatto uno scherzo di pessimo
gusto e mi hai mentito! Non mi hai dato il regalo di Natale che mi avevi
promesso!> Il vecchio cerca di accarezzare il nipote, ma quello lo scansa.
L’anziano cerca di consolarlo: <Non ti ho mentito né ti ho imbrogliato! Se
provassi ad osservare bene il mio dono, noteresti che non si tratta solo di
sassi neri privi di utilità!> Il bimbo è ancora più irato: <Grazie,
mille! So benissimo che il carbone serve per accendere un fuoco… Tuttavia, io
non avrei voluto qualcosa di utile, ma di divertente. Come posso giocare con
queste pietracce!?> Il nonno chiede al nipote di gettare lontano un pezzo di
antracite. Il bimbo lancia il carbone… Allora il vecchio domanda all’altro
cosa abbia scorto. Il bimbo risponde: <Ho visto un pezzo di carbone che
cadeva per terra!> L’anziano scuote il capo: <Non ti devi limitare a
scagliare una scheggia di torba, ma devi anche accenderla!> Il fanciullo è
ancora più contrariato: <Sì, bene, così dò fuoco alla casa!> Il nonno
obietta: <Non devi infiammare veramente il carbone, ma devi accenderlo con la
fantasia! Non sei un piromane, ma un fanciullo e a tutti i bambini piacciono i
giochi pirotecnici!>.
Il
bimbo rilancia il pezzo di carbone, più volte… finché il sacco è vuoto.
Allora il nonno riempie nuovamente il contenitore di iuta e ricomincia il gioco.
Stavolta è lui a gettare in aria il carbone: <Ecco, quello che vedo non è
un pezzo di minerale inanimato, ma una brace spenta, una pietra in cui una volta
divampava una preziosa scintilla, che era stata accesa prima che gli uomini
scoprissero la fiamma. Proprio così, non si trattava di una vampa qualsiasi, ma
dell’ardore che un eroe rubò agli dei per regalarlo agli uomini. Grazie a
quest’eroe chiamato Prometeo, gli uomini padroneggiarono il fuoco e con esso
poterono scaldarsi, cucinare il pane o il panettone,
scacciare i lupi, o vedere nella notte… La sera presero l’abitudine
di riunirsi attorno ad un focolare e raccontarsi storie…> Il bimbo è
meravigliato, poiché la narrazione del nonno ha il potere non solo di accendere
il carbone, ma di sospenderlo in aria rallentandone la caduta. Le parole del
cantastorie, infatti, deviano l’attenzione del bambino che non bada più alla
pietra spenta di carbone, ma al racconto che la accende. Il frammento di carbone
rotola infine a terra, spento, ma il nipote chiede: <Cosa si raccontavano i
primi uomini attorno al fuoco acceso da Prometeo?>.
La
domanda di Andrea riattizza la narrazione del nonno che riprende a lanciare un
carbone nella notte insieme alle parole di un nuovo racconto. Le parole del
cantastorie inseguono la pietra di antracite, la afferrano, ne rallentano la
caduta e la accendono nuovamente: <I primi uomini raccontavano che ogni fuoco
non può smorzarsi mai definitivamente, così come le stelle non si spengono al
sopraggiungere dell’alba, o il sole non muore al tramonto, nemmeno dopo il
giorno di Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia. Raccontavano di una
pietra di carbone che s’infuocava e si librava sempre più in alto fino a
prendere le forme di un volatile, un uccello di fuoco. Ma la vampa, che
alimentava questo meraviglioso uccello, era destinata ad estinguersi: volando la
creatura bruciava e incendiandosi moriva riducendosi in polvere. Ciò
nonostante, quest’uccello, detto l’Araba Fenice, risorgeva sempre dalle
proprie ceneri…>.
Le
parole del narratore volteggiano nell’aria pur essendo pesanti come pietre,
pietre focaie che accendono la curiosità del fanciullo. Tuttavia il tizzone
spento deve arrendersi alla forza di gravità e atterrare; quando rotola sul
pavimento il bimbo chiede che sia ributtato in aria e cerca di riaccenderlo
domandando: <Che ne fu di Prometeo? Gli dei non vollero punirlo per il suo
furto?> Il vecchio ributta un altro pezzo di carbone nella fiamma del
racconto: <Per punirlo Giove ordinò al dio del fuoco di creare una bella
donna detta Pandora e la donò alla famiglia di Prometeo…> Roso
dall’impazienza il bambino interrompe il cantastorie: <Gliela regalarono
per Natale?> Il nonno scuote il capo: <No, allora il Natale non esisteva
ancora… ma era già in uso l’abitudine di farsi dei doni. Gli dei offrirono
assieme a Pandora… ricchi regali, tra cui un barattolo che non avrebbero mai
dovuto aprire, perché conteneva tutti i mali del mondo. Tuttavia, Pandora, che
non ne conosceva il contenuto, presa dalla curiosità, volle schiudere quel
vaso… e tutti i mali del mondo si riversarono sulla terra…> Il bambino
riuscì ad evitare che il frammento di carbone si estinguesse e precipitasse
grazie ad una nuova domanda: <Si scatenò allora la fine del mondo?> Il
vecchio risponde prontamente riuscendo a tenere ancora sospeso in aria il
racconto: <No, il male non può soffocare il mondo così come la notte non
ammazza il giorno, o il sole non estingue per sempre la luna… L’astro del
bene, o il sole, sono destinati a tornare sempre a splendere, persino dopo il
giorno di Santa Lucia il giorno più corto che ci sia!>.
La
brace del racconto si sta per estinguere, ma il bimbo riesce a riattizzarla
chiedendo: <Chi era Santa Lucia?> Il cantastorie lancia ancora nel vuoto
il tizzone di un'altra storia: <Lucia era una ragazza che credeva nella
rinascita della luce della speranza. Sperava che la stella del bene tornasse ad
illuminare gli uomini. Per mettere alla prova la sua fede nella speranza un
malvagio prima tentò di gettarla in un rogo e poi la accecò. Tuttavia, lei
continuò a vedere la cometa di una meraviglia: per percepirla non sono
indispensabili gli occhi e nemmeno la luce del sole. Una volta, il giorno più
corto dell’anno cadeva proprio nella sua festa, tra il 12 e il 13 di dicembre.
Per celebrarla si accendevano un falò e dei fuochi d’artificio. In alcuni
paesi del Nord d’Italia, era Santa Lucia e non Gesù bambino a portare i doni
ai bambini…>.
Quando
il pezzo estinto di lignite cade a terra, il bambino chiede: <Posso lanciare
io un pezzo di carbone nel cielo?> Il vecchio gli offre il sacco, il bimbo ne
estrarre un frammento, apre la finestra e lo getta nel buio della notte:
<Ecco, vedo che il mio pezzo di carbone si è illuminato!> dice
meravigliato il bambino. Il piccolo continua ad osare guardare:
<Vedo che la mia scheggia di brace si è accesa in una stella, una
stella vestita con un abito bianco dal lungo strascico di luce… che sta
guidando un lungo corteo. Dietro il mio astro corrono tre maghi: uno con un
colpo di bacchetta produce della mirra, l’altro possiede la pietra filosofale
per creare l’oro, un altro fa eruttare dal proprio cilindro una nuvola
d’incenso. Dietro la mia stella accorrono tre saggi che cercano una verità più
preziosa dell’oro, dell’incenso o della mirra. Tre lembi dello strascico
della cometa che ho buttato nella notte sono
stati afferrati da Santa Lucia, San Nicolao e Babbo Natale. Ai raggi della mia
stella si sono aggrappati tre re che, giunti sopra una grotta, si lanciano nel
vuoto: uno attenua la caduta grazie ad un ombrello intrecciato di mirra,
l’altro aprendo il proprio mantello dorato come un paracadute, l’ultimo
pilotando una mongolfiera gonfia d’incenso. I maghi regi, no volevo dire i
maghi regali, no, volevo dire i re magi con i regali atterrano davanti ad una
caverna: tra le stalattiti e le stalagmiti i tre re intravedono delle figure
dalle forme umane. Accendono delle torce e riconoscono delle statue. Le sculture
riproducono dei pastori con le loro pecore, raccolti attorno ad un neonato
circondato da un uomo, una donna, un bue e un asino. I tre re si accorgono di
essere arrivati tardi all’appuntamento: “Ecco” rimprovera il primo al
secondo “te l’avevo detto che non valeva la pena di fermarsi a raccogliere
l’oro nero!” Ma il terzo redarguisce il primo “E tu allora che hai mollato
la mirra per cercare quel grano transgenico!” Allora il secondo richiama il
terzo: “Zitto tu, che hai perso l’incenso per cercare del gas energetico!”
I tre si rassegnano a passare la notte nella fredda grotta. Grazie al dono di
Prometeo accendono un fuoco, si raccontano storie
e si addormentano. Intanto i tre re non si accorgono che i simulacri di
quella grotta erano di ghiaccio. Con gli occhi chiusi non vedono che il falò
che hanno acceso non solo scalda i loro corpi, ma anche quelli delle statue e li
scioglie. Il ghiaccio si sta liquefacendo… ma senza distruggere le sculture.
Quando i tre re riaprono gli occhi, si accorgono che le statue si stanno
movendo. Capiscono allora che il ghiaccio era solo un involucro che racchiudeva
degli esseri vivi.>.
Il carbone lanciato dal bimbo atterra e il piccolo cantastorie è costretto ad arrestare il suo racconto. Il sole si sta affacciando, sbiadendo lo sfondo nero su cui proiettava i fuochi d’artificio dei suoi racconti. Guarda la scaglia di brace e deve constatare che è spenta. Quando rialza gli occhi verso il cielo si accorge che sta nevicando. Il bimbo bacia il nonno su una guancia e rientra nella sua stanza.
Ormai
è l’alba e il fanciullo può scoprire l’ultimo mistero del calendario
dell’Avvento: può finalmente aprire quella che non è solo un’ultima
finestra, ma un’ultima porta. Il piccolo Andrea schiude le ultime imposte non
di un banale quadro di cartone, ma di un cartone reso vivo dalla fiamma della
sua anima. Dietro l’estrema
finestrella si cela il disegno di una grotta di ghiaccio, che si scioglie sotto
i raggi di una cometa liberando un presepe…
La
mattina, il nostro protagonista scarta i doni, collauda i giocattoli: tutti,
tranne una slitta e dei guanti da sci. Il bimbo chiede ai genitori di recarsi
nel parco per giocare con la neve. Il papà gli offre una mano: <Andrea, vuoi
che ti aiuti a fare un pupazzo di neve?> Il bambino risponde: <Ma,
veramente vorrei scolpire delle statue! Potresti aiutarmi a dare forma ad una
pecora simile a quella che mi avevi disegnato quando mi avevi raccontato le
avventure del piccolo principe? Oppure, potresti darmi una mano a scolpire uno
scrigno di neve che possa contenere dell’oro, delle mirra o dell’incenso?
Oppure potresti aiutarmi a costruire una caverna…> Il padre lo guardo
imbarazzato e dice: <Forse l’unica cosa che sono capace a fare è una casa
di neve simile a una piccola grotta che si chiama “iglù”!> Il bambino lo
guarda pensoso, esita e poi gli comunica: <E va bene! Cominciamo dall’iglù!>
La mamma ascolta e raccomanda: <Rientrate per mezzogiorno che vi attende il
pranzo!> Anche il nonno prova a domandare: <Devo venire anch’io a darvi
una mano?> Stavolta il fanciullo rifiuta: <No, mi hai già aiutato
abbastanza: grazie!> Il nipote si avvicina per salutarlo con un abbraccio e
gli infila furtivo un torrone in tasca.
La
mamma innesca delle luci, accende delle candele le cui fiamme si confondono con
i barlumi che si propagano dall’orizzonte. Il papà afferra il ramo di un
abete, brandisce una scure e prepara la legna per il focolare. Le vampe di un
falò lontano si disperdono in raggi rossi che avvolgono la grotta di neve del
fanciullo; tuttavia il sole, pur avendo il colore del fuoco, non riesce con il
suo calore a sciogliere il palazzo di ghiaccio del bambino. La mamma prova a
chiamare il figlio: <Andrea! Tra poco la cena sarà pronta!> Chiuso nel
suo iglù, Andrea non si è accorto dell’arrivo della notte. Mentre il bambino
giocava, non si è reso conto che il sole era già calato, anche se un po’ più
in ritardo rispetto ad una settimana prima. Il fanciullo sa che dovrà uscire
dal suo minuscolo castello di neve, eppure ora il buio non lo impaurisce, anzi,
lo stimola: adesso il tramonto non apre più il baratro dell’oscurità, ma un
barattolo da riempire con i carboni dell’immaginazione. Sullo sfondo della
notte, Andrea potrà lanciare le pietre ardenti del suoi racconti, che
arderanno… prima come astri nascenti, poi come stelle cadenti.