Capitolo 3.


LA DEGENERAZIONE DEL “FUMETTO NERO”
3.2 Il Fumetto Neofascista.
 
 
 

la reazione a fumetti. 
 
 


 
 

Nella seconda metà degli anni Sessanta è sorta e si è sviluppata una subcultura fascista che diffondeva i suoi messaggi attraverso mass-media come il fumetto. Proponevano una pedagogia della violenza gratuita e dell’eroismo senza costrutto, finendo con l’influenzare anche chi non partecipava in prima persona alle attività neofasciste. È lecito chiedersi se, dietro le squadre di picchiatori che la destra arruolava in quegli anni per mettere in moto i suoi piani eversivi, ci fossero anche l’azione pedagogica di questi fumetti che rientravano spesso tra le letture degli studenti e dei giovani arruolati nelle file del sottoproletariato urbano. Sarebbe puerile pensare che queste pubblicazioni, con i loro modelli di comportamento neofascista, fossero il frutto di una cospirazione messa in atto per minare la nostra società. Esse furono invece il riflesso di una situazione che coinvolse il costume del nostro paese, rappresentando come prodotto di massa una risposta alle richieste del mercato e quindi un indice di tendenze di base che si andavano radicando.
 
 

È stato detto che, al di sotto delle storie raccontate in questi fascicoli, c’è una ideologia della violenza e dell’avidità che è fascista; ma sia chiaro allora che ci si riferisce non tanto al fascismo degli squadristi, quanto a quello degli agrari promotori e dei borghesi timidi che accettarono gli squadristi.
Del resto ho già ribadito che i fumetti sono il termometro e non la causa di fenomeni che hanno origini sociali, politiche ed economiche ben più profonde. Certo nessun fumetto riuscirà mai a plasmare un fascista, esistevano però allora condizioni che facevano ritenere economicamente conveniente stampare fumetti fascisti. In questo quadro va inserito il neofascismo con le sue contraddizioni latenti, che vanno dall’esaltazione dell’ordine alla proliferazione della violenza nelle piazze, dall’europeismo del MSI-Destra Nazionale alle teorie neonaziste di Ordine Nuovo che parlava in termini fumosi e retorici di un’Europa "terra promessa" e "casa dei padri", che rifiuta il sistema auspicando l’affermazione di un Uomo fisicamente e spiritualmente superiore, seguendo una mistica irrazionale secondo cui solo chi appartiene a questa categoria è destinato a dominare, in nome della libertà, una massa informe e alienata. Il neofascismo è una sottocultura che si basa su valori precisi. Umberto Eco, nel corso di un’inchiesta sui fumetti ultra-reazionari usciti in quegli anni, vi individua i seguenti caratteri:
Possiamo allora decidere di riconoscere come componenti della mentalità fascista: il razzismo; il culto della violenza come affermazione di valore; il culto della virilità (con annesso disprezzo della donna, del sentimentalismo, della omosessualità: ma di nessun’altra possibile deviazione sessuale); il mito della santità della guerra, agone per uomini forti che ivi dimostrano la loro forza; l’anticomunismo forsennato (che in certi momenti ha preso la forma del maccartismo); il culto del superuomo come distributore di giustizia al di sopra delle leggi banali degli uomini deboli; e infine le manifestazioni di folclore littorio nel senso storico del termine, comprendente simbologie squadristiche e naziste, arditismo esplicito, sfruttamento intensivo di simboli patriottici.
Questo prospetto coincide sinistramente con un sommario schema sulle "cause psicologiche e sociologiche" della violenza fascista scritto da Antonio Carbonaro, professore di sociologia di Firenze. I tratti sintomatici della psicologia fascista per Carbonaro sono: la ristrettezza mentale tendente al pregiudizio; l’etnocentrismo come concezione della superiorità della razza ariana, del proprio popolo, del proprio gruppo; il nazionalismo o patriottismo retorico; l’intolleranza punitiva o denigratoria nei confronti degli oppositori ideologici considerati secondo una visione manichea; l’esaltazione dei capi, della forza, della disciplina, dell’obbedienza e la conseguente accettazione del regalismo; un opinione pessimistica della natura umana e della società che si accompagnano a forme di cinismo e crudeltà.Le analogie fra i due schemi, quello di Eco e quello di Carbonaro, sono più che evidenti: come dire che tra fascismo vero e fascismo a fumetti non c’è un’enorme differenza e i giornalini "neri" svolgono un’azione politica, certo modesta e non determinante, ma comunque precisa. Il neofascismo è anche la risultante di un coacervo di elementi tenuti insieme a fatica: spinte anarcoidi spolverate di ideologia, impulsi anti-autoritari e rifiuto della società dei consumi nei giovani, spirito di vendetta e razzismo di classe della piccola e media borghesia minacciata e frustrata dall’espandersi del capitalismo mondiale e dalla crescente organizzazione operaia, spirito clericale degli intellettuali emarginati che aderiscono al movimento per istinto di sopravvivenza, coalizione di tutti coloro che, trovandosi ai vertici delle istituzioni sociali, vedono nella società di massa un attentato e un’offesa al loro prestigio e alla loro autorità. Molti di questi elementi sono presenti nei fumetti reazionari o nei nero-erotici esaminati precedentemente; in quelli che analizzerò in questo capitolo vi è un’aperta esaltazione, in un clima di fantapolitica e di pornografia, del mito del superuomo di razza ariana, bello, coraggioso, intelligente, sprizzante di proteine da tutti i pori, a cui si contrappongono individui gialli, neri, rossi, fanatici, sadici, infidi, sessualmente inefficienti o pederasti, fisicamente inferiori. Secondo Marcello Bernardi, dietro questi fumetti c’è quasi sempre quella che egli definisce "la mistica del sasso"; il sasso del balilla, citato come esempio di eroismo e di violenza positiva, è, prima che violenza positiva, esclusivamente violenza. E il balilla prima di essere un eroe, è una specie di superman mitizzato e usato come pericoloso strumento di identificazione educativa.
La mistica del sasso si fonda su tre fattori: il lanciatore, l’oggetto lanciato, il nemico da colpire. Di tali elementi soltanto il secondo è cambiato dai tempi delle primitive elaborazioni squadristiche; il primo e l’ultimo no. Il lanciatore non è cambiato. Anche oggi, come alle origini, egli deve essere un eroe; se non è eroico, non vale. La folla anonima di contestatori, di dimostranti o di ribelli che scaglia cubetti di porfido, gli ignoti guerriglieri che buttano bottiglie molotov, la gente che getta masserizie alle finestre delle case, gli sparatori di proiettili che scappano fuori non si sa da dove nelle manifestazioni politiche e sindacali, non hanno niente di glorioso, non contano, sono teppisti, delinquenti, irresponsabili, nient’altro; non fanno la storia. La storia la fa il lanciatore eroico.
Assunto il fatto che i fumetti disegnati erano letti in maggioranza da ragazzi, mentre le ragazze prediligevano i fotoromanzi, non credo però che, strutturalmente esistano differenze, almeno per ciò che riguarda la teoria del sasso scagliato di Bernardi. I personaggi positivi di entrambi i tipi di fumetto sono infatti sempre degli scagliatori di sassi. Se infatti nei fumetti di guerra e d’avventura, destinati ai maschi, lo scagliatore è esplicito, nei fumetti fotografici per bambine il sasso è meno esplicito ma c’è. Il personaggio positivo è comunque bello, forte, ha una situazione intricata da risolvere, compie una violenza non sempre esplicitamente fisica, ma anche psicologica, e alla fine trionfa per la sua prestanza, per la sua rettitudine, per quella specie di aiuto mistico che viene al protagonista da strane forze occulte, che fanno sempre vincere il migliore. C’è in queste pubblicazioni la glorificazione della violenza come esaltazione della virilità e della vitalità, il fascino della bella morte eroica, il gusto del massacro e della tortura sadica. A tutto questo bisogna aggiungere la stupida monotonia delle storie e la volgarità del linguaggio, quando il sistema preferiva che gli studenti praticassero il "goliardismo" scurrile piuttosto che la politica.
Già agli albori della loro cultura, nel lontano diciannove, alternavano al manganello, relativamente grossolano, un sussidio farmacologico: l’olio di ricino. Poi è stato tutto un crescendo tecnologico: le baionette, le bombe a gas gettate sulle Ambe etiopiche, i CR 42 (quelli della guerra di Spagna), i cannoni (scelti dal popolo italiano, come è ben noto, in sostituzione del burro) e via via fino ai mass media, ai candelotti lacrimogeni, alla pubblicità, alle bombe a mano, ai Mirage, al napalm, agli ordigni termonucleari. Il difensore dei Valori fa sul serio. Non per nulla è un Eroe.
Sulla velata o trasparente carica reazionaria degli albi per ragazzi hanno scritto molte cose interessanti gli studenti dell’Università di Parma che, diretti dal professor Quintavalle, organizzarono nel 1971 una singolare mostra e pubblicarono un ricco catalogo appunto intitolato "Nero a strisce, la reazione a fumetti". Nel furibondo tiro incrociato furono colpiti parecchi personaggi di sacro nome: nessuno si salvò, Topolino e Paperino, Gordon e l’Uomo Mascherato, Tex Willer e Diabolik. I vivaci accusatori non andarono esenti da errori, e fecero spesso un unico fascio con erbe diverse, non ponendosi fra l’altro alcun problema filologico. Approssimativo e ingiusto è ad esempio parlare di Paperino come di una maschera fissa, senza distinguere i suoi vari periodi e le diverse mani che lo hanno disegnato, dal momento aureo di Carl Barks alla incessante produzione italiana. O ancora pare azzardato definire senz’altro razzista Tex, cow-boy autoritario eppure "sangue navajo", con moglie indiana e figlio allevato allo stato brado insieme ai guerrieri pellerossa. Preso atto che anche fumetti allegramente comici o fantasticamente avventurosi possano nascondere un’anima nera, conviene ora verificare solo gli albi direttamente riconducibili all’ideologia fascista. L’indagine si avvicinerà a quella condotta da Umberto Eco, insieme al collettivo "Foto Gi", nel marzo del 1971.