Capitolo 2.


L’EVOLUZIONE DEL “FUMETTO NERO”
Violenza e sadismo.
 
 

dai sequestri ai processi.
 


 
 
 
 

Di fatto, almeno terminologicamente, per la legge italiana la censura non esiste. Anche se tutti parlano di "censura" e di "commissione censura", per indicarla il legislatore usa un eufemismo: revisione. Il termine censura sa di regime dittatoriale, di limitazione della libertà di espressione, di soffocamento del diritto ad esprimersi. Il termine revisione evoca invece una semplice verifica, una supervisione, uno strumento non di controllo, ma di tutela. Tutela non dell’ideologia dominante, ovviamente, ma di qualcosa che non è immediatamente identificabile, né oggettivamente riconoscibile nello spazio e nel tempo: il buon costume. E la tutela del buon costume è sancita dalla Costituzione, all’articolo 21, dove si afferma che, al fine di assicurare la tutela del buon costume, la legge stabilisce provvedimenti adeguati non solo a reprimere, ma anche a prevenire le eventuali violazioni. Fin dall’immediato Dopoguerra il fumetto, proprio a causa delle proporzioni numeriche che assunse, cominciò ad essere oggetto di interesse e di critica, non mai disgiunti da un senso più o meno allarmistico, in quanto visto indissolubilmente legato alla recrudescenza della delinquenza minorile. La proposta di legge Federici che, puntando l’indice sul fumetto, cercava di istituire una censura su tale stampa, portò per la prima volta, nel 1951, il fumetto in Parlamento. Sia la relazione di maggioranza, sia di minoranza espressero giudizi severi e del tutto sfavorevoli al fumetto. Eccone alcuni stralci:

L’apporto esotico dei fumetti introduce nella loro consuetudine figure spregiudicate o brutali di gangsters, di fazioni, di strapotenti favolosamente ricchi, incontrollabili, violenti. Salvo lodevoli eccezioni, i fumetti presentano un mondo irreale, artificioso, disumano…

Il fumetto è nocivo per la presentazione di vicende morbosamente sessuali, di esaltazione della violenza, e di un nuovo tipo di eroe del nostro tempo, gangster o bombardiere atomico..., fomentando nelle ragazze il divismo, e la passione per la guerra nei ragazzi.

Posizioni altrettanto contrarie al fumetto presero le riviste di ispirazione cattolica, le quali vedevano nella letteratura fumettistica una continua esaltazione dell’attività fantastica e imitativa del disumano e una predisposizione al male dalle forme seducenti del violento e del sessuale che i fumetti presentano. "Esaltazione e predisposizione al male porterebbero i giovani lettori ad atti di violenza secondo schemi imitativi di situazioni precedentemente viste o lette". Cunsolo riporta, da tutto il mondo, una decina di casi di violenza imitativa, evidentemente non controllabili direttamente, non tanto sulla loro veridicità, quanto sulle tendenze psichiche dei soggetti che li hanno commessi.
Ci conforta in questo giudizio Bertin quando dice che "sul soggetto tendenzialmente anormale una certa letteratura può agire come elemento di accelerazione o di provocazione delle manifestazioni di anormalità…, ma non si può tuttavia, da questa constatazione, ricavare conseguenze di carattere generale per i soggetti normali, cui è diretta la stampa per ragazzi".Lo psicanalista George Legman così scrive in un articolo della rivista Neuotica riferendosi in particolare al fumetto sexy: "Che gli editori e gli autori di fumetti siano dei degenerati e della gente da forca, ciò è pacifico; ma perché migliaia di adolescenti accettano passivamente questa degenerazione?".Anche Dino Buzzati accusa il fumetto ritenendolo causa dell’impigrimento della fantasia e addita negli editori i responsabili del cattivo gusto diffuso nella stampa giovanile, in quanto si accontentano di narratori e disegnatori mediocri, che con le loro illustrazioni contribuiscono ad intorpidire e a storpiare la fantasia infantile. In un certo qual modo dalle pagine di Buzzati traspare il pregiudizio verso una tecnica espressiva basata sulle immagini. Tale pregiudizio, che ritiene la tecnica di comunicazione per concetti di indubbia superiorità, lo si ritrova in un articolo di Silvana Spirito, che accusa il fumetto di essere, "con le sue deficitarie descrizioni paesistiche e psicologiche, con i suoi dialoghi spezzati e con le sue onomatopee, uno dei maggiori responsabili nel far sì che molti, in un mondo invaso dall’immagine, disimparino a conversare e a pensare". Evidentemente, questi interventi non danno sufficienti fondamenti in sede tecnico-critica. Essi peccano di astrattezza, parlando del fumetto genericamente e intendendolo come categoria, senza preoccuparsi della natura delle varie componenti e della misura in cui sono presenti. Sono lontani dall’impostare un discorso condotto metodologicamente e qualificato sulla particolare tecnica di significazione di cui si avvale il fumetto. Alfred Machard, riferendo al congresso di Milano del 1952 sugli effetti positivi della legge francese del 16 luglio 1949, informa tra l’altro che nei fumetti:
  1. L’uomo è sostituito da un automa o da un gorilla.
  2. La donna, da una stella di Hollywood.
  3. Il volto, da una maschera o da un ghigno.
  4. La conversazione, dalla lotta corpo a corpo.
  5. La vita, da un complotto.
  6. L’argomento, da una rivoltella.
  7. Il colore, da una macchia vistosa.
  8. Il disegno, da una deformazione folle.
  9. Il francese, da una specie di linguaggio dialettale.
  10. Le nazioni, da popoli retrogradi.
  11. La punteggiatura, da esclamazioni.
  12. Le grida, da urla.
  13. Gli eroi, da banditi.
Giudizi più equilibrati emergono dagli studi di Lamberti Bocconi e di Origlia che cercano, specie il secondo, di esaminare il fumetto quale è, senza preconcetti, considerandolo cioè uno dei tanti sistemi coi quali l’uomo comunica al suo prossimo le sue idee. Parlando della psicologia del personaggio dei fumetti Lamberti Bocconi così si esprime:
…è invincibile, invulnerabile. Il superuomo non corre mai pericoli, egli è sempre per definizione al di sopra di ogni minaccia. Il superuomo e i suoi compagni soddisfano l’universale; il fumetto insomma da la soddisfazione di ogni desiderio e di ogni esigenza umana. Sarebbe un mezzo per distendere il sistema nervoso dell’uomo moderno, per fare sfogare pacificamente i suoi rancori, per realizzare i suoi irrealizzabili sogni.
Origlia invece, nel suo articolo che tratta l’argomento da un punto di vista tecnico, elenca i più diffusi capi d’accusa del fumetto per confutarli uno ad uno. Si rivolgono ai fumetti le seguenti accuse:
  1. Peccano di animismo, in quanto animano troppi elementi naturali e fanno parlare troppo facilmente gli animali. Evidentemente non si tiene conto che abbiamo l’esempio illustre e insospettabile di pinocchio, che è animismo puro dall’inizio alla fine; e poi il bambino, data la sua scarsa autonomia psicologica, ha un’innata tendenza ad animare, cercando compagni di gioco immaginari, tipo quelli di Esopo, Fedro, etc.
  2. Creano facilmente tipi psicologici collettivi: il buono, il cattivo, l’ingannato, l’astuto, etc.; peccano cioè di eccessiva tipizzazione. Ora questi tipi, non solo sono sempre esistiti fin dalle epoche primitive nella coscienza popolare, ma rappresentano per i9l bambino una necessità, un punto fermo di riferimento.
  3. Sono carichi di aggressività sia muscolare sia armata. Ma la letteratura tradizionale infantile, dalle favole degli orchi e delle fate, dei re malvagi fino ai racconti di Salgari, di Quattrini, etc., non presenta certo caratteristiche differenti. Inoltre l’aggressività è un elemento fondamentale dell’animo infantile ed anzi è auspicabile che il bambino provi in tal modo, piuttosto che in altro meno controllabile una soluzione alla sua tensione di aggressività psicologica.
  4. Sono responsabili di ridurre la fantasia creatrice. Non è vero, ché nessun fumetto riduce la fantasia del bambino, il quale è padrone di crearsi con la mente un mondo popolato d’immagini fantastiche sia leggendo un libro che un fumetto. Tra l’altro, fra un ragazzo che legge fumetti per un’ora ed un altro che passa ugual tempo a fantasticare il più normale è il primo.
  5. Riducono la lettura favorendo l’analfabetismo di ritorno. Nessuno può affermare che la parola scritta sia stata, sia e debba essere il solo mezzo di significazione tra le persone. Comunicare per immagini richiede una tecnica che assume tanto più valore se si considera che il bambino è eidetico.
Questo era il clima che si respirava in Italia negli anni Cinquanta, prima della comparsa del "fumetto nero". Dopo il 1965, di fronte all’incontrollabile invasione degli eroi malsani, la situazione degenerò e, a fianco dei pedagoghi, si unirono i genitori, gli insegnanti, la stampa e l’intera pubblica opinione. Da sempre ostili al fumetto, considerato veicolo di diseducazione per i giovani, furono immediatamente pronti a levare scudi contro questo nuovo fenomeno che rischiava di insinuare nella giovane prole il dubbio che la vita fosse fatta anche di cattivi istinti e poche cattoliche pulsioni. La caccia alle streghe divampò subito violenta approdando anche in parlamento.
Un gruppo di deputati democristiani ha rivolto una interrogazione al Presidente del Consiglio e al ministro di Grazia e Giustizia per sapere quali iniziative intendano prendere per disciplinare la produzione e la distribuzione di periodici a fumetti destinati ai fanciulli e agli adolescenti. Ciò anche in relazione al processo che si svolgerà a Milano alla fine del mese di ottobre contro gli autori, editori e distributori dei periodici Kriminal, Demoniak, Sadik, Killing e Satanik, accusati di violazione all’articolo 528 del C.P. Gli interroganti fanno presente inoltre, che di fronte al dilagare di queste pubblicazioni impostate sul richiamo speculativo del sesso e della violenza si sono elevate sempre più frequenti dalle famiglie preoccupate proteste.
Tribuna Illustrata, la rivista che si vantava di essere "il più antico settimanale italiano", dedicò all’argomento un ampio dossier, commentato da un’efficace copertina di Mario Uggeri dove i principali eroi neri erano radunati dietro le sbarre di una prigione. Quello era il destino auspicato per i personaggi e i loro autori che avevano osato mostrare un volto diverso ma non irreale della realtà di quegli anni. I personaggi più deboli non sopravvissero ad un così potente attacco moralizzatore e quelli che riuscirono a mantenere le loro postazioni dovettero assoggettarsi a un ridimensionamento dei temi trattati e dei toni utilizzati, senza comunque poter sfuggire all’infamante scritta per adulti imposta sulle copertine, come se quel semplice avvertimento potesse esorcizzarne tutta la carica dissacratoria.Il pubblico composto comunque da giovanissimi che acquistavano la loro copia con mille sotterfugi, non si preoccupò minimamente di quei divieti, anzi continuò a sostenere i personaggi preferiti dimostrando una maturità impensata nello scegliere quei prodotti che si distinguevano per qualità ed originalità.La realtà, secondo l’inquirente milanese, parlava di un milione di copie vendute ogni quindici giorni, un commercio vorticoso per quel fenomeno editoriale che i giornali d’allora ritenevano solo un sottoprodotto dell’industria culturale.
Eppure molti si sono appassionati a Satanik, Kriminal, Spettrus. Li leggono persone adulte e colte, casalinghe, operaie e impiegate, studenti e signorine di buona famiglia, professionisti annoiati, semianalfabeti, minorenni. L’edicolante non è tenuto a chiedere la carta d’identità a chi si presenta al suo chiosco ma, nella stesura delle imputazioni, il Pubblico Ministero ha tenuto presente che, nonostante proibizioni e divieti, Kriminal e compagni finiscono nelle mani dei ragazzini. Contro di essi si può procedere quando, come ora, per la sensibilità e impressionabilità ad essi proprie, siano idonei ad offendere il loro sentimento morale o a costituire per essi incitamento alla corruzione, al delitto, al suicidio.
Max Bunker, con amarezza, commentava così sul numero cento di Satanik:
Satanik, presentato come fumetto dell’orrore almeno al nastro di partenza, ha dovuto ben presto abdicare al trono per adattarsi sempre più a quelle che erano le esigenze nuove imposte a seconda degli umori frizzanti nell’aria. Come autore del testo ho vissuto tutti quei momenti in cui ordini e contrordini si sovrapponevano con una celerità tale da rendere impossibile il ricordarsi poi quale fosse quello giusto. Niente donne troppo scollacciate, niente donne con la schiena nuda, "niente" e ad esso seguiva una lunghissima lista che ogni giorno si infittiva sempre più tanto che il tempo necessario per scorrerla si aggirava sulle due ore circa.
Questi fumetti, i teen-agers li leggevano in segreto, magari sotto il banco di scuola, come in segreto andava maturando quell’esplosione di rivolta, quell’irriducibile contrasto tra giovani e "matusa" di cui anche la trasgressione minuta o la elementare disobbedienza all’imposizione familiare rappresentavano ingenui, ma ostinati tentativi di sottrarsi al peso di valori che di lì a poco sarebbero stati messi violentemente in discussione o sovvertiti del tutto. Forse inconsciamente, quando nel 1965 la magistratura milanese incominciò la caccia a Diabolik, Kriminal, Satanik e compagnia, i preposti al potere non tentarono solo di interrompere il pericoloso canale di distillazione di un sottile veleno, "il veleno che emana da questi assurdi personaggi amorali, violenti e crudeli, che hanno scelto il delitto come missione e sempre riescono trionfanti sulla Legge e sul Bene". La realtà era che questi prodotti dell’editoria venivano ad allargare la schiera dei nuovi fermenti insidianti la roccaforte del perbenismo e dell’ipocrisia fatta istituzione. Il sequestro era un gesto di autodifesa, il tentativo generalizzato di spezzare l’assedio, di rovesciare l’incomprensibile calderone dove le nuove leve mescolavano le suggestioni della Beat Generation, la musica rock, la cultura pop e la libertà sessuale. Una pratica, quella del sequestro, allora molto in voga, e che testimoniava anche una radicata ostilità nei confronti della nuova cultura, considerata frettolosamente licenziosa e amorale. Come nel caso di Milena Milani, condannata nel 1965 a sei mesi di reclusione e a centomila lire di multa insieme all’editore Longanesi per il suo libro Una ragazza di nome Giulio, nonostante che tra i testimoni della difesa ci fosse il sommo poeta Giuseppe Ungaretti. L’accusa era di pubblicazione oscena, e dal romanzo vennero stralciati e letti in aula i passi più osé, negando che il libro avesse quel crisma di opera d’arte che altrimenti lo avrebbe salvato. Più buffa, ma sempre legata al clima di allora, la distruzione di cinquemila dischi tra cui I contrabbandieri di Gipo Farassino e Carlo Martello di Fabrizio De Andrè, canzone molto in voga nei salotti pseudo-intellettuali, accomunati a motivetti del tipo Fanfulla da Lodi e La ballata di Ciceruacchio. Di notevole scalpore fu poi il caso de La Zanzara, il giornalino scolastico del Liceo Classico "Parini" di Milano, incriminato per aver pubblicato un’inchiesta dal titolo "Le ragazze d’oggi", il cui contenuto turbò non poche famiglie milanesi e tolse il sonno a provveditori ed ispettori ministeriali. Studentesse che serenamente parlavano delle loro esperienze, o delle mancate esperienze, affettive, dei loro problemi, dei rapporti con l’altro sesso, facevano scandalo, erano un argomento scabroso, ed anche la magistratura volle scomodarsi aprendo un’inchiesta sui due studenti e la studentessa responsabili della rivista, incriminando anche il Preside della scuola per il mancato controllo e la scarsa attenzione con cui aveva svolto la sua funzione di "guida delle attività integrative della scuola". E fu solo grazie alla lungimiranza del Presidente della Corte, Bianchi D’Espinosa, se durante il processo alla ragazza fu risparmiata la cosiddetta "ispezione corporale" invocata dal Pubblico Ministero, con la quale si sarebbe voluta accertare la sua illibatezza, e quindi la sua moralità. Tutti furono assolti e l’Italia iniziò a rimuginare sui propri figli, sulle loro inquietudini, ma anche sulla loro maturità nell’affrontare problemi come il sesso.Comunque il mondo non era quello che l’establishment avrebbe voluto che fosse, la violenza privata prevaleva ancora su quella pubblica. Sempre nel 1966 entra in tribunale il mite Gianni Morandi, denunciato per bestemmia durante una serata del Cantagiro dal "Comitato Antiblasfemo" della diocesi di Assisi. Alberto Sordi gira il film Scusi, lei è favorevole o contrario?, e i deputati Democristiani ribadiscono un secco no al divorzio.La Chiesa scaglia le sue bolle di scomunica per mezzo dell’Indicatore della Stampa, edito da Presbyterium, che marchia Fantax, Sadik, Spettrus e Tetrus con la "P" di proibito ("Stampa che il lettore non può affrontare perché dichiaratamente contraria alla morale e alla religione"), mentre con un più tenue "N" di Negativo ("Stampa moralmente nociva, che il lettore maturo può leggere solo per particolari motivi di studio e di informazione") contrassegna Cobrak e Kolosso. In quanto a Zorak è l’unico albo semplicemente sconsigliabile ("Stampa che presenta elementi negativi per il ragazzo").

Già nel 1964, dopo soli cinque numeri, Kriminal subiva il primo sequestro con l’alboOmicidio al riformatorio. Un giallo mozzafiato e raccontato senza troppe reticenze, che pare uscito dalla penna di Mike Spillane. Giunto al riformatorio femminile di Meddox in una fredda giornata d’inverno, il dottor Birch, sotto le cui spoglie si nasconde Kriminal, entra direttamente nella tragedia dell’avidità e della lussuria, consumata da un’umanità senza scrupoli, con ragazzine inciampate nella strada del vizio e che sotto la gonna portano mutandine ricamate, che Magnus disegna con raffinatezza e precisione.

Troppe donne senza scrupoli, troppi scrupoli senza padrone. Un sindaco corrotto, un mostruoso guardiano ruffiano, un gangster in cerca di refurtiva, si scontrano col terribile assassino. In mezzo, sopra e sotto il letto, nude, vogliose, sventate e sventrate, violente e violentate, le ragazze corrigende: Carol, Margie, Loren e le altre, tutte inciampate sulla strada del vizio. "Diabolik era ancora fermo alle ballerine per far vedere le gambe. Io non lo sopportavo" – parole di Magnus – "Così, alla prima fanciulla di una storia che perdeva una gonna, disegnai le mutandine ricamate che nessuno aveva mai fatto vedere con una tale accuratezza che Bunker stesso ne restò impressionato". Ragazze affannate, eccitate: capezzoli turgidi, sottovestine di carta velina sollevate dal vento, calze nere abbassate, seni ancora freschi di saliva.
Le sequenze più scottanti vedono protagoniste due ragazze, Carol e Margie. La prima è protagonista del primo nudo integrale della storia del fumetto italiano; la fanciulla si accinge ad incontrare il sindaco del paese e comincia uno spogliarello che la lascerà soltanto con una coperta, velo utilizzato per nascondere le roventi curve. La seconda, alla ricerca di indizi sui misteriosi avvenimenti che accadono al riformatorio, si aggira, seminuda, nell’oscurità dei corridoi. I centimetri della sua pelle, esibiti senza ritegno in contrasto con il buio circostante, sconvolgono non poco i lettori e la magistratura: è l’ultimo episodio di Kriminal in cui un’autocensura cautelativa non provvede a stendere qualche pennellata di nero. Dal prossimo episodio molte cose cambieranno. Lo scandalo che ne seguì, e il conseguente scatenarsi di una violenta campagna di stampa portò alla denuncia di numerose testate, al loro sequestro e all’apertura di un’istruttoria affidata alla magistratura di Milano, che condannò gli albi per infrazione agli articoli 528-529 del Codice penale ("Pubblicazioni e spettacoli osceni, atti e oggetti ritenuti osceni che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore"), all’articolo 15 della legge sulla stampa e alla legge sui minorenni del 12 dicembre 1960. Il 28 ottobre 1966 il dottor Guicciardi, magistrato milanese, dopo una sommaria istruttoria su denuncia di genitori e sociologi, invitò davanti al giudice quindici persone accusate di aver posto in commercio opere in cui si raccontavano avvenimenti raccapriccianti atti ad offendere la morale comune, a sovvertire l’ordine familiare e a destare raccapriccio.
Il 28 ottobre prossimo, in un aula del Tribunale di Milano, si svolgerà un attesissimo processo: quello a carico della banda del "Super K", composta da Kriminal, Satanik, Demoniak, Sadik e Killing. I cinque personaggi, logicamente, non compariranno al banco degli imputati fasciati nelle loro tute nere o a forma di scheletro: sulla scomoda panchetta prenderanno posto i loro padri putativi, una ventina di persone, tra editori, direttori responsabili, distributori e stampatori. Le accuse sono pesanti (divulgazione di opere in cui si esalta il crimine e si raccontano avvenimenti atti a turbare il comune sentimento del pudore), ma non è escluso che venga emessa una sentenza di assoluzione.
Un mese prima del processo scattava l’ordine di sequestro anche per l’albo numero 45 di Satanik, L’isola dei mostri. Tra gli accusatori, uno "specialista" condannò Satanik, definendola "un uomo che ama circondarsi di donne viziose e perverse".
Io avrò subito una decina di processi; sono sempre stato assolto, però è sempre una cosa seccante. Deve sapere come mandavano l’avviso di comparizione: spedivano un foglio aperto con scritto "signor Secchi, imputato dei delitti…" e lo lasciavano in portineria. Alla faccia della legge sulla privacy; e infatti allora mi guardavano come un sovversivo, assassino, squartatore, tagliagole, stupratore.
Per Killing, invece, le imputazioni sono due. La prima è di avere pubblicato le storie con la formula del fotoromanzo che "per la ripetizione esasperata di scene di sadismo e di criminalità, fotograficamente eseguite ed accompagnate da fumetti dal testo irridente alle vittime e alla legge, è idoneo a provocare il diffondersi di omicidi e delitti". La seconda imputazione riguarda soltanto il fascicolo intitolato Sangue e droga, dove era pubblicata la foto di una donna "abbigliata in maniera particolarmente allusiva agli organi sessuali e alle loro funzioni".Prontamente, lo stesso giorno del processo, il consiglio regionale dell’ordine dei giornalisti lombardi, con un comunicato stampa,
constato che nessuno di detti periodici è emanazione di grandi complessi editoriali e che anzi, nella stragrande maggioranza, si tratta di iniziative individuali che non lasciano dubbi sulla loro natura di deteriore speculazione, ribadisce che la dignità e il dovere del giornalista esigono, nella piena consapevolezza delle responsabilità professionali, la valutazione dell’effetto sui lettori di tutto ciò che si pubblica e che l’uso costante dell’esercizio della libertà si è finora sempre affermato come un abito mentale al di sopra delle leggi. Pertanto il consiglio regionale dell’ordine fa appello agli iscritti dell’ordine che ricoprono l’incarico di direttore responsabile dei periodici in questione perché, nello svolgimento della loro attività, non si discostino da quei fondamentali principi dell’etica professionale che esigono di non fomentare istinti malsani né sentimenti morbosi, ricordando che l’immane compito della stampa è inderogabile nel cooperare alla retta formazione del cittadino nell’ambito delle libere istituzioni dello stato democratico, mentre decide di sottoporre a procedimento disciplinare coloro che con un comportamento non conforme al decoro professionale abbiano compromesso la dignità dell’ordine; e delibera di segnalare al presidente del tribunale di Milano la posizione irregolare di quei periodici la cui gerenza risulta affidata a persone non iscritte all’albo dei giornalisti perché classificati fra le pubblicazioni tecniche non aventi carattere concettuale.
Dopo un breve dibattito preliminare, il processo venne aggiornato e poté riprendere qualche mese più tardi, nel febbraio del 1967. Al termine, tutti gli imputati furono condannati. Andrea Corno e Fulvio Scocchera, direttori responsabili, il primo di Kriminal e Satanik, il secondo di Sadik, sono stati condannati a sei mesi di reclusione e 800.000 lire di multa. A Ugo Del Buono, editore di Sadik sono stati inflitti cinque mesi e dieci giorni di reclusione e 700.00 lire di multa. Tutti gli altri imputati sono stati condannati a quattro mesi, quindici giorni di reclusione e 500.000 lire di multa. A tutti gli imputati sono state concesse le attenuanti generiche. Il P.M. dottor Montella, aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati a cinque mesi di reclusione e 50.000 lire di multa escluso Edoardo De Gasperi, editore sì di Sadik ma non dei numeri incriminati e quindi accusato per errore. Ecco alcune significative battute del dibattimento (interrogatorio di Ernesto Colombi, stampatore di Kriminal e Satanik):
PRESIDENTE: Conosceva il contenuto delle pubblicazioni?
IMPUTATO: Soltanto in linea generale. Personalmente non le ho mai lette.
P: Vengono stampate molte copie di ogni numero?
I: Sì, all’inizio un po’ meno, poi il processo ha fatto aumentare la tiratura.
P: Quando un uomo scudiscia una donna, secondo lei noi dobbiamo metterci a ridere?
I: Ma signor presidente, queste storie non hanno alcun aggancio con la realtà, come la strega di Biancaneve!
P: La corrispondenza almeno è vera? (leggendo alcune lettere indirizzate direttamente a Sadik)
I: Effettivamente dovevamo creare un’associazione…
P: …di amici di Topolino, vero?
I: (ridendo) No, era un’associazione per estroversi quanto al reparto "fuoco", e per introversi per il reparto "lame"…
P: …per piantarle nella schiena delle donne? E la tuta di Sadik, cosa la chiedono a fare certi lettori?
I: Per Carnevale, credo.
P: Non ha mai letto lei dei crimini commessi con questa tuta?
AVVOCATO D’AJELLO: Signor presidente, li avrebbero commessi lo stesso, probabilmente!
Con l’anno nuovo le copertine di Kriminal si fregeranno, su una coccarda, della celebre invettiva di Edoardo III ai maliziosi, quando, chinatosi a raccogliere il reggicalze perduto della contessa di Salisbury, motteggiò in una frase l’Ordine della Giarrettiera.Stanchi di tutte queste battaglie burocratiche gli autori di Kriminal gettarono la spugna e trasformarono il loro eroe: in breve divenne "l’ex-re del delitto". Questa metamorfosi lo ha portato a schierarsi a fianco della legge, come era successo anche a Satanik, ritrovandosi nei comodi panni di un Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo che ruba più per mettere alla prova la propria intelligenza che per lucro, e che non uccide se non per legittima difesa. Il Kriminal che offriva al lettore i suoi dieci cadaveri a numero scomparse definitivamente; lasciò il posto ad un essere molto più umano e per questo molto più credibile, un individuo che affronta la vita come milioni di altre persone e che come queste ne accoglie i piaceri e ne subisce le ingiustizie. Ecco come proseguiva lo sfogo di Max Bunker dalle pagine di Satanik:
Si rendevano necessarie urgenti modifiche dettate da constatazioni di fatto, avvenute in due processi nel corso dei quali diversi numeri sono stati condannati perché contrari alla morale comune, tendenti al sovvertimento dell’ordine familiare e per scene raccapriccianti che potevano turbare il lettore. È inutile polemizzare come molti lettori hanno fatto, facendo presente che ora l’Italia è invasa da pubblicazioni dove il nudo è imperante, dove le volgarità si sprecano, dove il richiamo del sesso ai suoi più bassi e riprovevoli istinti è venduto a pacchi. Quindi la direzione ha consapevolmente scelto una linea di severa autocensura, coadiuvata da un direttore responsabile che è un giornalista professionista regolarmente iscritto all’albo.
E a nulla valevano i giri di parole, le ironie ed i momenti esilaranti di grottesco che già da anni l’autore inseriva nelle storie, assecondato da Magnus. Ad esempio le tre vignette del novantesimo numero di Kriminal (Quello che non ti aspetti, marzo 1967), in cui un cattivo gridava: "Kriminal e Satanik assieme! Questo è troppo! È un’oscena situazione di questi fumetti neri!", e il Re del Delitto lo pugnalava replicando: "L’osceno è che qualcuno ci crede veramente che siamo osceni!", poi pigliava a pugni uno scagnozzo e sibilava: "Se non t’ammazzo è perché invece di finire in galera io ci finisce il direttore responsabile!".Probabilmente di questa svolta autocensoria rimase soddisfatto don Luigi Serafini, parroco di Boccolo dei Tassi in provincia di Parma, che al Salone Internazionale dei Comics di Lucca nel settembre del 1966, ad un mese dal processo contro i "fumetti neri", dichiarò che "è lecito chiedere che non vi sia una censura, ma per arrivare a questo traguardo bisogna dimostrare di non meritarla. La libertà va meritata anche nel settore della produzione dei fumetti. Moralità non soltanto in senso cattolico, ma anche più semplicemente umano".A lui si è aggiunto il professor Luigi Volpicelli, docente di Psicologia all’Università di Roma, insieme ad altri esperti, tutti concordi nel respingere la possibilità di una censura, anche preventiva, nel mondo dei comics, a patto che gli editori e gli autori si autocontrollino dimostrando una maturità che ormai dovrebbe essere stata raggiunta.In quegli anni non c’è stato giornale che non si sia occupato, almeno una volta, dei "fumetti neri", e soprattutto giornali non specializzati, quasi sempre insorgenti sotto la spinta dell’opinione pubblica, senza cioè un imparziale interesse scientifico. Fatte le dovute eccezioni, contro il "fumetto nero" hanno parlato triti luoghi comuni, vieto moralismo e incontrollabili affermazioni. Basterebbe leggere alcuni titoli di quel periodo: "Hanno invaso con le K il dorato mondo dei fumetti", "Il fumettaccio nero perde terreno", "I giornalisti lombardi contro i fumetti malsani", "I signori del crimine rischiano la gattabuia", "In Italia è nato male il fumetto per adulti". E a questi articoli infuocati non si astenevano firme dell’intelligencija italiana.
Mi ricordo la Aspesi… mentre oggi fa un po’ la sinistrina, in quel momento là faceva un po’ la destreggiante, se per sinistra si intende uno più aperto e per destra uno un po’ conservatore. Penso che la via più facile fosse fare la morale, prima di tutto è bello attaccare qualcuno, soprattutto se piccolo, fare il forte con i deboli. Non c’era nessun gruppo editoriale di una certa sostanza; la Corno, l’Astorina erano piccole case editrici. Perciò non c’erano grossi interessi, si trovava un bel capro espiatorio. Bisogna pensare che erano anche anni felici, perché quando La Notte mise in prima pagina "Arrestato Kriminal", nel senso che lo avevano sequestrato, voleva dire che non c’erano altri problemi di cui parlare. C’era anche la Cederna che scriveva sull’Espresso ed era una radical-chic; faceva anch’essa la morale più banale, più ovvia, più scontata, sembrava di entrare in sacrestia e sentire il povero parroco… Era più facile così, montare un caso per montarlo.
Ecco un modello del livello critico di quei fondi, tratto dalle pagine de Il Borghese:
Difendiamo i ragazzi, che comprano i nuovi fumetti e gli adulti che li leggono. Perché si tratta di persone evidentemente incapaci di distinguere i veleni che in queste storie sono iniettati, con tanta generosità.

[…] E con queste belle qualità sono proposti all’ammirazione dei minorenni e dei maggiorenni sottosviluppati dei nostri giorni che cercano il "relax del brivido", con tanti saluti all’intelligenza e alla morale dei nonni.

Ed ecco un accorato appello, dalle pagine de Il Popolo, a salvaguardia dell’educazione degli adulti:
E come si può pensare di proteggere da simili stimoli, tutt’altro che edificanti, le generazioni in crescita, se di queste letture fruiscono per primi i loro genitori i quali poi, laddove non le consigliano ai figli, quanto meno le permettono? Ci vien fatto di ripensare al problema dell’educazione degli adulti, di cui ci siamo occupati spesso su queste colonne, dell’urgenza che venga affrontato con energia, e della necessità che la società corra ai ripari, se non vuole che la divisione delle culture in sotto-culture e, se ci è permesso, delle sotto-culture in sotto-sotto-culture di massa, non si stratifichi più di quanto già minaccia di fare, e tanti generosi sforzi di educatori non vadano irrimediabilmente perduti.
Era normale che, ogni volta che la polizia metteva le mani sull’autore di un crimine, gli si trovasse in tasca o nel cassetto una copia di Satanik o di pubblicazione analoga. A nessuno veniva in mente che il poveretto si fosse dato al crimine anche perché la società lo aveva formato in modo da non concedergli la possibilità di letture diverse; e il rapporto tra "fumetto nero" e violenza era posto istantaneamente. Quando i carabinieri fecero irruzione nel rifugio del famigerato Leonardo Cimino, molti giornalisti notarono con preoccupazione che nel suo rifugio giacevano copie di Diabolik. Non si diede eccessiva importanza al fatto che fu trovata anche una scacchiera e non venne approfondito il rapporto tra crimine e gioco degli scacchi. Ed ecco come viene commentato un delitto passionale a Bronte, in Sicilia:
Rosa Carcione, una ragazza siciliana di quindici anni, in meno di tre mesi ha conosciuto Turiddu Portano, è fuggita con lui, l’ha sposato e l’ha ucciso, avvelenandolo. Pochi giorni fa, alle quattro del mattino, ha offerto al marito una tazza di zabaione nel quale aveva versato alcuni cucchiai di anticrittogamico.Rosa era una lettrice di "fumetti di violenza" e c’è chi dice che abbia voluto imitare il suo idolo preferito, la terribile Satanik, la "Venere del male", che uccide soltanto per il gusto di uccidere.
E ancora:
"Faccia d’angelo", il piccolo Marco Baldisseri, implicato nell’assassinio di Ermanno Lavorini, leggeva appassionatamente fumetti. Fiandro Fantino, il ragazzo di sedici anni che ha ucciso a pugnalate, in treno, la professoressa Gianna Bo, suonava il violoncello e leggeva fumetti.

[…] Poi, improvvisamente, uno di questi, alla sola vista di due ginocchia scoperte, in uno scompartimento ferroviario, tira fuori un pugnale da boy-scout e pugnala la proprietaria di quelle ginocchia. Un malato? Forse. Ma le reazioni abnormi dei malati rivelano quello che i sani, o i malati meno gravi, riescono a nascondere. Del resto, non occorre che gli insegnamenti di Sadik portino al delitto per farsi giudicare dannosi. Come tutti i bambini che leggono i fumetti per adulti e non uccidono professoresse in treno non provano che i fumetti per adulti siano educativi.