Capitolo 1.


LA NASCITA DEL "FUMETTO NERO"
Diabolik, il "nero" borghese.
 
 

le radici.
 
 


 
 
Nel 1857 Parigi si è rivestita di nuovo splendore, dotando tutte le proprie strade dell’illuminazione a gas, che le frutterà l’immortale definizione di Ville Lumière. Il café Anglais trabocca di artisti e belle donne, nei teatri impazza il can-can, la pochade e il vaudeville, e tutti possono godere dei piaceri della vita, anche di quelli a buon mercato. Eppure, vi sono posti che i lampioni non riescono a rischiarare, vi sono tenebre impossibili da penetrare: il mondo della malavita è in agguato, celato dietro gli angoli dei vicoli più bui e nel cuore dei quartieri malfamati, sotto i ponti della Senna e nei covi di prostitute e grassatori, lontano dalle piazze e dalle strade più in voga. È questa la Parigi dove si muovono personaggi come Za-La-Mort (il famoso apache parigino creato dall’italiano Emilio Ghione) e soprattutto come Rocambole, ed è qui che possiamo trovare le radici del primo "fumetto nero" italiano, Diabolik. Celato tra le pagine dei feuilleton creati dal visconte Pierre-Alexis Ponson du Terrail (il primo, I drammi di Parigi, esordì appunto nel 1857), Rocambole, pronto a balzare fuori dal bianco e nero delle copertine per la modica spesa di sessanta centesimi, possiede alcune caratteristiche che ritroveremo 105 anni più tardi nel personaggio creato dalle sorelle Giussani. Un uomo, il cui nome deriva da una particolare varietà di aglio spagnolo, destinato ad insidiare la vita dei nobili e dei borghesi e soprattutto i loro patrimoni, un uomo che spia le esistenze altrui per carpirne i segreti e le debolezze, per costruire ricatti, tendere trappole e ideare insidie macchinose.

Il primo imponente moto di commercializzazione della letteratura inizia nel 1830, con l’apparizione del settimanale La Presse, diretto da Emile de Girardeu. La rivista, nata con caratteri moderni (era sostenuta dalla pubblicità), pubblicava in appendice un romanzo a puntate, che incrementò enormemente il numero dei lettori. Balza immediatamente agli occhi il paragone coi grandi quotidiani d’oltreoceano, che spesso raggiungono enormi tirature per aver lanciato nel momento più propizio un determinato personaggio.Il "Romanzo d’appendice" fu battezzato "Feuilleton". Fin dall’origine esso assunse il carattere di una rappresentazione popolaresca, per una società di massa, del mondo come conflitto eterno fra il bene e il male, rappresentati dai personaggi simbolici dell’eroe e dell’antieroe. L’umanità è catalogata come nel primo Manzoni nelle due grandi classi dei redenti e dei definitivamente dannati.
Nei feuilleton l’amore e l’odio, l’orgoglio e l’avidità, la vendetta e il perdono erano gli elementi infallibili usati per accattivarsi il gusto di un pubblico che cercava una via di fuga dal grigiore e dalla monotonia della propria esistenza.
Poi, a un tratto il visconte scrittore inaspettatamente si pente. Il suo personaggio, diventato famoso da far coniare un nuovo aggettivo ("rocambolesco"), con cui si definisce un’azione strabiliante compiuta con destrezza e astuzia, forse comincia davvero a fargli paura. È troppo spregiudicato per la sua epoca. Così, come per incanto, il novello "Genio del Male" viene riconquistato alla virtù, e passa dall’altra parte della barricata! Con un voltafaccia che spiazza tutti, Rocambole si trasforma repentinamente in un paladino della Giustizia, proprio come era accaduto nella vita reale a un altro difensore della Legge, François Vidocq, che da impenitente galeotto qual era stato per anni, si era rifatto una verginità, fondando addirittura la Sureté, la polizia parigina.
Passano gli anni e la Belle Epoque è al culmine della sua parabola, la splendida era parigina dell’arte e della spensieratezza ha toccato il suo massimo, l’illuminazione a gas della città sta per essere soppiantata da quella elettrica, e si sa che, quando impera il benessere, iniziano a farsi strada le inquietudini, l’ansia del futuro e i timori del cambiamento. A rendere concrete le ansie della borghesia di allora ci pensano, nel 1911, due ex giornalisti di cronache automobilistiche, Marcel Allain e Pierre Souvestre, che, sotto la spinta dell’editore di romanzi popolari Arthème Fayard, danno vita a un personaggio davvero sfuggente ed implacabile, un delinquente che non si ferma davanti a nessuna malvagità. Ecco il vero antenato di Diabolik. Fantomas è il re del travestimento, apoteosi della crudeltà, inventa continuamente espedienti per compiere i suoi delitti o per sfuggire alla morsa della Legge. A lui cercano invano di opporsi il poliziotto Juve (gemello inconsapevole di Fantomas) e il giornalista Fandor.
Il primo volume di Fantomas fu venduto al prezzo promozionale di trentacinque centesimi, anziché dei consueti sessantacinque, preceduto da un lancio pubblicitario senza precedenti: per le strade, sui tram e nel metrò, i manifesti con la silhouette del bandito mascherato minacciosamente protesa sui tetti di Parigi sconvolsero la Francia e alimentarono un morboso interesse per questo "Angelo del Male" che rappresentava la sconfitta definitiva di ogni buon sentimento. Il contratto prevedeva la realizzazione di solo cinque libri, ma l’enorme successo costrinse Allain e Souvestre a scriverne trentadue in soli tre anni.
Con la sua sfrenata crudeltà e le sue sanguinose assurdità, con l’abolizione del lieto fine e la descrizione di una demenziale anarchia senza giustificazioni e senza riscatto, Fantomas diviene l’eroe preferito dei Surrealisti, osannato da René Magritte, Robert Desnos, Max Ernst, Guillaume Apollinaire, Blaise Cendras, Antonin Artaud, Luis Aragon, e dal poeta Robert Desnon che gli dedica addirittura una lunga ballata, successivamente messa in musica da Kurt Weill.
Moderno eroe di un’umanità inurbata nel circolo delle convenzioni borghesi, Fantomas interpreta, più di ogni altra fantasia del secolo, lo scardinamento delle regole. La sua sfrontata professionalità delinquenziale mette in gioco uno spreco di energie sproporzionato ai fatti, ma proporzionale al disinteresse di fondo che lo anima e alle imprese considerate in sé e per sé, quasi un rincorrersi di gesti conoscitivi che oltrepassano senza alcun ossequio i riti degli statuti culturali e le leggi della società.

[…] Nel 1927 Magritte ne dipinge il volto, traendolo dall’affiche dell’omonimo film che circolava nelle sale cinematografiche di quei tempi, immagine che più tardi dipingerà nella sua totalità (1943: Le retour de flamme). È una delle sue opere più emblematiche. Essa non ha nulla di surreale, né alcunché di enigmatico, ma rappresenta una sorta di dichiarazione di poetica e a suo modo è un autoritratto della propria personalità creativa.

Sui suoi lineamenti fisici e psicologici le sorelle Giussani costruiranno il loro personaggio che fin dalla prima storia (Il re del terrore, titolo rubato al romanzo più famoso di Fantomas) emula le imprese del suo predecessore. Vi ritroviamo il leitmotiv degli inutili sforzi della giustizia, contro un malvivente che sembra dotato di poteri quasi soprannaturali e le cui imprese sono circondate da un alone di surreale malvagità. Come accadeva per Fantomas, il favore dei lettori va incondizionatamente al delinquente impunito che sbeffeggia a suo piacimento una polizia inefficiente e impotente. Ecco allora che il salotto della contessa di Langrune rivive in quello della marchesa De Semily. Il giovane Carlo Rambert (che diverrà Fandor) è Gustavo ed anche lui nelle prime battute stravede per il bandito. La trama riflette quella del primo delitto di Fantomas che, sotto le spoglie del padre del giovane Carlo-Gustavo, uccide la marchesa ed incolpa il figlio. Identico l’espediente del treno che si ferma per lavori in corso e permette all’assassino di scendere, compiere il delitto e risalire sul treno successivo.Ma, anche nelle storie successive, viene attinto materiale da Allain e Souvestre. Nel secondo numero (L’inafferrabile criminale) si ripete l’episodio del complice ucciso dal battaglio di una campana. Nel terzo (L’arresto di Diabolik) è riportato l’episodio dell’impiccagione di Gurn: Eva Kant-Lady Beltham riesce, con la complicità di due secondini, a sostituire al prigioniero Diabolik un attore truccato come lui. E Ginko-Juve si accorge che il volto del condannato non è impallidito. "Abbiamo giustiziato un innocente": le parole di Ginko e di Juve si confondono. Nel quarto (L’atroce vendetta) ricorre l’espediente della finta decapitazione così come avviene negli Amori di un principe. Nel quinto (Il genio del delitto) Diabolik uccide il pittore Radiè, così come Fantomas aveva ucciso il pittore Dollon, e con la pelle delle sue mani aveva compiuto una serie di delitti. Nell’ottavo (Sepolto vivo!) riappare il siero che permette a Diabolik di farsi ritenere morto per trentasei ore, così come aveva fatto Fantomas ne L’impiccato di Londra. Questi i casi più evidenti del legame Diabolik-Fantomas. Non è un caso che, già nel marzo 1963, la Mondadori avesse rimesso in circolazione le opere di Allain e Souvestre in apposita collana quindicinale, a partire dal romanzo Il terrore mascherato con, in copertina, un’illustrazione di Karel Thole.
Diabolik l’ho messo insieme con tutti gli ingredienti di successo che mi sono venuti in mente. Primo ingrediente: il vecchio Fantomas, non dico Arsenio Lupin che contiene troppe finezze e non sarebbe stato capito. Quindi Fantomas come modello. Naturalmente portato ai nostri giorni. Poi tutto il resto, tutto quanto può piacere: il male, molto male!