NOMADI UMANOIDI.

Il ventre di Milano è stato scosso negli ultimi tre inverni dalle visionarie immagini di tre maestri dell'illustrazione. Nelle anguste stanze medievali di palazzo Bagatti Valsecchi si sono materializzati gli incubi techno-feto-demoniaci dello svizzero H. R. Giger, di cui purtroppo si ricorda solo il suo cucciolo alieno. In seguito si è scivolati verso la più popolare bande dessinée. Il secondo capitolo è stato infatti affidato al portavoce de Les Humanoïdes Associés, Jean Giraud, meglio conosciuto come Moebius. Il terzo ha avuto come protagonista il maestro serbo-francese Enki Bilal. I nostri occhi sono rimasti attratti soprattutto dalle opere surreal-fantascientifiche degli ultimi due e con loro ci siamo intrattenuti...

 

MOEBIUS.

Precisando alla nostra domanda, se da piccolo fosse stato rapito dai marziani, Moebius ha sottolineato di aver percorso il viaggio nella direzione opposta: portato sulla Terra da entità superiori. Questo spiegherebbe la sua innata capacità di penetrare dimensioni tanto surreali quanto incredibilmente credibili. Fin dal 1975 con l’uscita di Métal Hurlant, rivista-manifesto di una nouvelle vague del fumetto, Moebius è il maggiore esponente di un’avanguardia artistica che assume i contorni di un vero e proprio movimento. Il gruppo riunito intorno a queste pagine catalizza le tendenze più innovative del fumetto fantastico, attraverso una visionarietà grafica senza precedenti. È la scoperta di un nuovo mondo dell'immaginazione. Nell'editoriale dell'edizione italiana di Métal Hurlant si parla di "immagine che diventa affresco, poster, pala d'altare, manifesto, tavola d'enciclopedia, sogno", mentre "la droga, l'alcol, la nevrosi percorrono questi disegni e danno loro un che di febbricitante, d'incantato, di pauroso".
Nelle tavole di Moebius, in particolare, si colgono reminiscenze delle avanguardie storiche, di un surrealismo aggiornato e nutrito da una sensibilità nuova che sembra raccogliere frammenti e reperti d’una prossima fine del mondo, oggetti disparati ma tutti arroventati dalla medesima esplosione, torridi di calore stellare, contorti e splendidi di misteriose luci dai colori abbaglianti. Ma Les Humanoïdes Associés non sono responsabili soltanto di una rivoluzione stilistica; varano anche una innovativa politica d'autore. Si dice basta alla produzione seriale e ai lunghi racconti a puntate, favorendo storie brevi ma intense, curatissime nei testi e nei disegni, un equivalente insomma delle graphic novels.
Piuttosto che come genere narrativo, la fantascienza è assunta come filtro interpretativo delle inquietudini del presente, come proiezione critica delle angosce di un mondo avviato verso un disastro imminente. Questa finestra affacciata sul futuro mostra panorami sempre più inquietanti, incubi metropolitani e scenari apocalittici nei quali si muovono personaggi ben diversi rispetto agli eroi di un tempo. Le stesse inquietudini e angosce che si colgono leggendo le avventure volanti dell’eroe epico Arzach, le saghe del tenebroso Major Grubert e del suo Garage Ermetico, le ricerche dello sfortunato detective John Difool all’inseguimento del Graal-Incal, o le sanguinanti fantasie erotiche di Histoire d’X.

Innanzitutto vorrei sapere se da piccolo sei stato rapito dai marziani.
Non sono stato rapito… mi hanno portato sulla Terra.
Che relazione esiste tra fumetto e arte?
Ci sono due maniere di considerare l’arte. L’attitudine che consiste nell'essere artista, ma senza necessariamente definire la figura dell’artista. Nel senso che tutti possono essere artisti nel modo di camminare, di vestirsi, di vivere, di relazionarsi con gli altri o, volendo essere più precisi, nel modo di comunicare con i grandi mezzi di espressione. Il fumetto è un sistema che si situa tra l’espressione plastica e l’espressione letteraria, quindi è una specie di bambino che cerca di capire il proprio mondo. Il problema è doppio e, in questo senso, consiste nel ridefinire una visione personale dell'artista, capire cosa ha a che fare con l’arte, anche se è indefinibile e ambiguo. L’altra alternativa è, per il fumetto, quella di essere riconosciuto come mezzo di espressione artistica. È evidente che i due problemi sono molto legati fra di loro, in quanto più ci saranno artisti che utilizzeranno questo mezzo di espressione e più questo sarà considerato come arte.
Qual è il futuro del fumetto come arte popolare?
Il fumetto tende a sparire, non ha il tempo di rientrare in un flusso circolare. Alla stessa maniera di tutte le arti popolari come la pubblicità, l’illustrazione, il design, che sono tenute un po’ in disparte e non sono venerate. Non sono legate alla tradizione delle belle arti, ma vivono comunque attorno alla cultura. Cosa bisogna fare? Ci sono due maniere di parlare di cultura: vi è l’espressione della "cultura del sistema", e poi vi è la cultura popolare, la maniera di mettersi le calze, la maniera di pettinarsi, la maniera di parlare… Ci sono delle persone che usano questa ambiguità per creare delle confusioni.
Nei tuoi lavori emerge la visione di un futuro prossimo venturo, o l’intuizione di una vita parallela?
Nel mio caso è più un’intuizione di una vita parallela, che coincide con un fenomeno di fuga. Io sono nato nel 1938, in un’epoca in cui vi era la guerra; quindi mi sono ritrovato in un mondo estremamente pericoloso e duro. In realtà non ho subito delle conseguenze dannose; in seguito mi sono sposato, ho lavorato, ma comunque è qualcosa che mi ha segnato profondamente provocandomi un senso di rigetto del mondo, della mia cultura, dell’ambiente familiare…
Io mi sono sempre allontanato dalla tradizione culturale francese, e nel mio fumetto si ritrova questo desiderio di fuga, che paradossalmente si è trasformata in una specie di realtà interiore, che corrisponde ad una realtà degli altri. In effetti spesso all’interno della follia vi è un fenomeno di fuga, un fenomeno di fuga all’interno di se stessi. Siamo come una mosca sospesa nell’aria ma è grazie agli altri che non arriviamo ad essere completamente malati, completamente artisti. Quindi siamo all’interno di due sistemi. Il sistema del disegno è il sistema di comunicazione artificiale, che permette di non chiudersi in se stessi e quindi di comunicare. È fondamentalmente una forma di nevrosi, una sofferenza, una fuga.
Che importanza ha il sogno per il tuo fumetto? Quanto e come ti influisce?
Come ho detto fino adesso ho utilizzato il disegno sia per sfuggire la realtà, sia come strumento per la comunicazione. E uno dei sistemi paralleli di vivere la realtà è il sogno, e sappiamo tutti bene che quando diciamo "smettila di sognare", non è altro che una maniera di non essere là. È una maniera di fuggire sempre dalla propria sedia. Quindi per riflesso è come avviene per la gran parte degli artisti, la gran parte dei disegnatori, per me nel momento in cui comincio a disegnare sono in uno stato di leggerezza, in uno stato di sogno da sveglio, esattamente come un pianista che davanti al pianoforte comincia a sognare.

 

ENKI BILAL.

Bilal è nato a Belgrado nel 1951, ma all’età di dieci anni si è trasferito con la famiglia a Parigi. La quasi totalità dei suoi libri si possono classificare come fantascientifici anche se la più importante caratteristica che li distingue è una dura critica sociale e un netto attacco ai sistemi politici in cui si muovono i personaggi. Dal 1972 inizia una collaborazione con la rivista Pilote, pubblicando illustrazioni, copertine e storie brevi. Verso la fine degli anni ‘70 entra a far parte del gruppo dei "soci umanoidi " (Moebius, Caza, Druillet…), i fondatori di Métal Hurlant, sconvolgendo i canoni delle storie di fantascienza. Successivamente incontra lo sceneggiatore-regista Pierre Christin, e da questa fertile collaborazione nascono i primi albi memorabili (Il vascello di pietra, Le falangi dell’ordine nero, Partita di caccia). Ma è nei primi anni ’80 che Bilal progetta e realizza il capolavoro, La fiera degli immortali, prima tappa della "trilogia Nikopol". Il libro Freddo equatore, il terzo capitolo della trilogia Nikopol, è stato premiato in Francia come "Libro dell’anno", ed è il primo libro a fumetti che abbia mai ricevuto questa onorificenza.
L'universo descritto in questa saga è livido e cupo, colmo di macchine, uomini e animali che spesso si confondono in un unico grande caos di riferimenti, di simboli, di situazioni: dal recupero bizzarro della mitologia egizia alla assoluta libertà del colore, dalle barocche e flaccide ambientazioni alle bellissime e disperate figure femminili. Bilal riesce ad esprimere una eleganza stilistica mirabile, ma immersa sempre in un territorio creativo in cui il bello, il brutto, il bene e il male non hanno dimensione. La sua opera è potente e molto penetrante, ovunque troviamo universi truccati: Mosca è paralizzata, Berlino è in rovina e anche Parigi si disgrega in uno strano futuro dove gli dei dell'antico Egitto rivivono tra i comuni mortali.
Bilal scava nella realtà con ferocia e passione: è la sopravvivenza, la lotta per la vita che spesso diventa sopraffazione ciò che lo circonda. Ma non cerca e non dà spiegazioni a ciò che rappresenta. E in questo si riconosce la sua necessità di lavorare anche con altri strumenti: il cinema, la fotografia e la scultura.
Nel 1989 gira "Bunker palace hotel", con Jean Louis Trintignant e Carol Bouquet; nel 1996 "Tykho Moon", con Trintignant e Michel Piccoli.
Nel 1998 è uscito contemporaneamente in tutta Europa il suo ultimo libro, Il sonno del mostro, il primo capitolo di una nuova trilogia.

 

Le tue ultime storie (Trilogia Nikopol, Il Sonno del Mostro) sono ambientate nel futuro, un futuro però molto imminente… Quindi più che di fantascienza si dovrebbe parlare di fantapolitica, considerati anche i temi affrontati.
Tutto sommato cosa vuol dire fantascienza? Da una parte esistono dei codici tradizionali: gli extraterrestri, le storie interplanetarie… Dall’altra c'è un aspetto più umano: il posto che l’uomo occupa nella società, il rapporto dell’uomo con il potere e del potere con l’uomo. Partendo da questi temi si può sviluppare una prospettiva plausibile per arrivare a costruire un universo, un futuro abbastanza vicino a noi. Ho scelto questa seconda via perché mi sembra più interessante e più vicina alle mie preoccupazioni e ai miei interrogativi.
È stato casuale che le tue ultime storie siano ambientate negli anni 2020-2030, o c’è un rapporto con gli anni ’20 e ’30 del XX secolo, soggetti alle dittature nazi-fasciste?
No, non c’è nessun rapporto con il secolo precedente. L’epoca in cui ho ambientato Il Sonno del Mostro è solo il risultato di un calcolo aritmetico: i tre personaggi sono nati nel 1993 e desideravo raccontare la loro storia quando avrebbero compiuto una trentina d’anni. Quindi utilizzando una calcolatrice è risultato 2026; è il caso che li ha portati alla stessa data della Trilogia Nikopol, ma non c’è alcun nesso.
Ma tu immagini veramente un futuro così pessimista e decadente come appare dalle tue storie… quasi un medioevo tecnologico.
Non è così che immagino il futuro; certamente se non si farà attenzione è quello che potrebbe succedere. Attraverso la ripetitività di atti nefasti, l’uomo gioca continuamente e pericolosamente con il suo pianeta, con il suo avvenire.
Spero che tu non sia profetizzante…
Lo spero anch’io.
Cosa pensi dell’integralismo religioso e delle guerre di religione?
Io non sono religioso, non ho avuto un’educazione religiosa… Sono agnostico, ma rispetto la fede e la religione degli altri. La rispetto molto meno quando si sostituisce ai politici o alle leggi morali, quando le religioni decidono di gestire la vita degli uomini andando al di là del loro ruolo. E soprattutto quando cadono nell’integralismo, nell’intolleranza, nella violenza, come nel caso dell’ex Jugoslavia, o dell’integralismo afghano. In partenza c’è sempre una forma di nobiltà nel discorso religioso ma dopo, molto in fretta, si cade nella barbarie.
Ho notato che a partire da Freddo Equatore vi è una prevalenza del testo sulle immagini: ho avuto la sensazione di leggere un romanzo illustrato. Hai voluto avvicinare il limite tra fumetto e letteratura?
Io considero già il fumetto una forma di espressione elevata e nobile. Cosa c’è di più bello dell’espressione grafica? È naturale e insita nell’uomo fin dai tempi di Cro Magnon. Per quale motivo verso l’età di 12/13 anni dobbiamo smettere di insegnare la nobiltà dell’espressione grafica, con il pretesto che non si riesce a gestire il linguaggio delle parole? Si ha l’impressione che l’espressione grafica sia legata soltanto ai bambini e quando si cresce diventi una forma di nostalgia. Quando si diventa grandi dobbiamo leggere solo libri e tutto ciò che è disegnato viene come disprezzato. Io sono del parere che il fatto di unire la qualità del disegno alla qualità della parola dia una reale forza al fumetto. Ci sono molti fumetti mediocri, ma c’è anche una grande quantità di libri scritti che sono altrettanto mediocri, e di film, e di canzoni: la mediocrità è ovunque. Il fumetto è un modo di espressione e coloro che lo mantengono in un ghetto sono dei piccoli integralisti intellettuali.
Questo è un problema che tocca l’Italia da vicino: lo dimostra l’approccio stesso dei lettori al fumetto che non avviene quasi mai in libreria o in biblioteca, ma unicamente nelle edicole, in forma di albi mensili.
In Francia esistono degli editori specializzati proprio nel fumetto. Mentre gli editori di libri che hanno cercato di creare un settore dedicato ai fumetti non hanno mai sfondato, perché c’erano dei freni che provenivano dall’interno stesso della casa editrice. Ma certamente l’editoria specializzata funziona magnificamente.
Il fumetto in Italia è considerato come un semplice intrattenimento, e non invece un mezzo per comunicare messaggi più importanti, come nel tuo caso.
Penso che il fumetto sia un mezzo che deve andare al di là del divertimento, ma deve anche rimanere multiforme. Ci sono eccellenti fumetti di divertimento come ci sono ottimi film di intrattenimento: non deve essere troppo intellettuale.
Per quanto riguarda il tuo rapporto con il cinema, come è nata la scelta di passare dalle tavole disegnate alla regia di un film.
Il fumetto è già una scenografia. Per me il cinema è sempre stata una fonte di ispirazione, sono sempre andato al cinema: sognavo i miei fumetti vedendo il cinema. Quindi nella mia infanzia e adolescenza queste due cose erano entrambe importanti.
Ci sono due tipi di disegnatori: quelli che adorano talmente tanto il fumetto che non ne vengono fuori, vivono nel fumetto, fanno fumetto con riferimenti al fumetto, tutto in funzione del fumetto; altri che hanno integrato i riferimenti, che hanno bisogno di andare a cercare altrove, specialmente nel cinema, nella letteratura, nel teatro, nell’attualità. Io faccio parte della seconda categoria: cerco di gettare un ponte tra diversi mezzi di espressione, una sorta di nomadismo culturale.
Tornando indietro nel passato volevo sapere quanto è stato importante il rapporto con Moebius e il gruppo di Métal Hurlant.
Moebius è il più grande disegnatore vivente, è un modello per tutti e io ho avuto la fortuna di lavorare per Métal Hurlant. La cosa che forse ha perso Métal Hurlant è che sono troppo attaccati alla forma e non abbastanza alla sostanza, e forse è quello che tutti i giornali a fumetti stanno perdendo. Però è stata sicuramente una rivista di enorme importanza per la rivoluzione apportata sul piano grafico e sul piano creativo.
Per finire volevo sapere come mai negli ultimi anni (purtroppo) hai prodotto così poco nel campo del fumetto.
Perché le giornate hanno 24 ore anche per me… e soprattutto perché fare un film, quando non si appartiene all’ambiente cinematografico, è una prova estremamente pesante e che prende molto tempo. Se non avessi girato il film (Tykho Moon) probabilmente avrei disegnato altri due libri; ma il prossimo (il secondo capitolo della nuova trilogia de Il Sonno del Mostro) arriverà più presto di quanto pensi.

 

interview by federico mataloni & luana bardinella.

interprete eva geissler.