Me lo immagino il presidente Berlusconi
mano nella mano con la moglie Veronica passeggiare per i Giardini con l'aria
incredula vedendo la prima Biennale del suo governo così come l'ha
determinata il presidente Bernabè, scegliendo un direttore che ha
per gli artisti la stessa considerazione che hanno gli astemi per il vino,
un misto di diffidenza e di insoddisfazione.
(Vittorio Sgarbi)
Forse è ingiusto dire che
questa edizione appare un po' soporifera, perché se uno proprio
pensa che l'arte debba essere un brivido sporcaccione o horror, non mancano
neppure adesso alcune simpatiche opere. C'è un pene bianco vistoso
che si erge da un corpo nero; c'è un gruppo di spettatori in piedi
che battono le mani a coppie di giovani ambosessi attorcigliati uno all'altro
e in piedi c'è un negrone che penetra una magrolina bianca...
(Natalia Aspesi)
Il problema maggiore era come riuscire
ad accaparrarsi un invito per il party di Miuccia Prada o come fare a trovare
un tavolo libero nel ristorante in cui cenavano Damien Hirst e Charles
Saatchi. (Deyan Sudijc
- The Observer) |
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Si sa che la Biennale di Venezia,
come e più di altre grandi rassegne d'arte contemporanea, potrebbe
essere paragonata ad un enorme Iperstore, dove i passanti gettano occhiate
veloci agli scaffali e si soffermano solo dove colgono l'offerta… Ma l'edizione
2003, più che ad un'imponente città mercato, fa tristemente
pensare ad un misero discount. Solitamente non sono pretenzioso quando
mi approccio a queste manifestazioni, conscio che la quantità è
spesso in contraddizione con la qualità. Ma la percentuale di materiale
guardabile è stato decisamente in ribasso. Considero arte ciò
che muove qualcosa, che sia essa passione o disgusto, ammirazione per la
tecnica e la ricerca o distacco totale. Ciò che ho visto quest'anno
è un'accozzaglia di nulla, e per di più noioso. Drammatica
è la sensazione di camminare per le interminabili Corderie o attraversare
ipertrofici padiglioni e accorgersi che sono vuoti, che si viene mossi
più dall'istinto di andare oltre che dalla curiosità o dall'interesse
per ciò che ti circonda.
Primo responsabile e oggetto di non
poche critiche è giustamente il curatore, Francesco Bonami - insieme
al suo team, proprio per le scelte qualitative infelici.
Questa sensazione infelice emerge
devastante dentro i saloni dell'Arsenale. Qui i curatori hanno voluto ricreare
una sorta di casbah degli stati extra-occidentali (Islam, Africa, Estremo
Oriente) e già leggendo i titoli delle sezioni (Zona d'Urgenza,
La Struttura della Crisi, Smottamenti) si evocano l'instabilità
delle forme e il sopravvivere di relitti dopo una catastrofe. Questa confusione
emerge soprattutto dall'allestimento delle installazioni. E meno male che
il sottotitolo di questa edizione recita La Dittatura dello Spettatore…
In questi cunicoli-anfratti, che ricordano un affollato quartiere-bordello
di Bangkok, ci si perde dentro smunti peep-show completamente prosciugati
di emozioni (Zona d'Urgenza) o in baraccopoli post-atomiche (Stazione Utopia).
Rara eccezione sono tre opere, legate tra loro da riferimenti sessuali,
critici per la giovane cinese
Yang
Yong, impunemente espliciti per l'algerino
Adel
Adbessemed e ludico-psichedelici per il gruppo giapponese
Kyupi
Kyupi.
Ai Giardini va un po' meglio e almeno
si riesce a non correre… Nel padiglione Italia si incontrano alcuni mostri
sacri. Matthew Barney ci propone dei tavoli-teche in plexiglas contenenti
cornicette organiche con secrezioni di muffa verdognola, che comunque appaiono
sotto tono rispetto alle esondanti immagini dei Cremaster.
Damien
Hirst prosegue invece il suo percorso di catalogazione farmaceutica
- Tutti i misteri, un tempo interpretati dalla religione, oggi sono
sintomi che si curano con farmaci. Dopo aver aperto
The
Pharmacy, il locale più trendy di Notting Hill, eccolo infatti
intrippato in una ricerca artistica legata alla riproduzione di medicine
virtuali (memorabili le pubblicità di cibi prettamente britannici
confezionati in packaging da supposte o aspirine). In questa sede ci impattiamo
in una parete porta-pastiglie (18.000, tutte fatte a mano in gesso e tutte
diverse tra loro). L'osservatore viene colto da un'iniziale perdita di
orientamento di fronte all'imponenza e alla minuziosità dell'opera,
seguita da una morbosa attrazione a tendere la mano verso una pasticca-extasy.
Forse timorosi di aver concesso veramente
poco al palato dello spettatore-dittatore si è pensato bene di inaugurare
quest'anno una sezione completamente dedicata alla pittura: Painting
al Museo Correr. Qui trovano posto i pittori che hanno calcato la Biennale
dal '63 (data in cui appaiono i primi lavori pop di Warhol e Rauschenberg)
ad oggi. Attraversiamo quindi la storia dell'arte degli ultimi 40 anni
attraverso Bacon, Lichtenstein, Twombly, Richter, Guttuso, Auerbach, Basquiat,
Castellani, Fontana fino alle ultime generazioni: Gary Hume, Damien Hirst,
Margherita Manzelli, Takashi Murakami (quello delle coloratissime borse
Louis Vuitton e delle statuette erotiche manga con getti di sperma
e latte). Una collettiva alquanto accozzagliata, dove le opere si susseguono
in ordine scrupolosamente cronologico senza una vera appartenenza omogenea. Gli accostamenti nelle stesse sale fanno accapponare: Guttuso-Castellani?
De Dominicis-Hume? Fontana-Warhol?
Tra i giovani emerge, soprattutto
per stile,
Glenn Brown
(a cui è dedicata una sala anche al Padiglione Italia). Seguace
di Auerbach (che ritrasse in un quadro nella storica mostra Sensation
a Londra), si impossessa della materia e plasma busti utilizzando la
tempera ad olio. I suoi ritratti (dame settecentesche e barboni alla deriva)
sembrano uscire dalla tela, pulsanti, avvinghiati da serpenti. La carne,
segnata da ombre e colori eccessivi, si trasfigura in cellule tridimensionali
che non appartengono più all'umano.
Tornando ai Giardini, i padiglioni
che più hanno lasciato il segno sono stati quello israeliano e soprattutto
quello australiano. In entrambi le protagoniste sono due donne che nel
loro lavoro citano e si ispirano alla genetica (a livello metaforico-sperimentale
la prima, con gemmazioni mutanti la seconda). Israele ospita
Michal
Rovner, videoartista newyorkese d'adozione. Nel susseguirsi delle
piccole sale del padiglione, ci inoltriamo in un laboratorio asettico e
buio dove l'artista sta sezionando il comportamento umano nella più feroce tra le sue attività sociali, quella militare. Avvicinandoci
ai tavoli possiamo infatti osservare, dentro vetrini da biologo, non microscopici
germi, ma video di minuscoli soldatini che si muovono in file serrate o
in ordine sparso. Vediamo attoniti omini in forma di X (cromosoma femminile?),
girotondi di lunghi filamenti o puntini sparsi velocizzati come batteri impazziti.
L'Australia ospita invece
Patricia
Piccinini… |